martedì 28 settembre 2010

Appendice - Errori nella Bibbia?

L’intento di questo metodo di studio è di valorizzare la Bibbia e renderla più accessibile e comprensibile, ma prevedo che in alcuni potrebbe suscitare qualche perplessità. Mi riferisco in particolare a chi aderisce all’interpretazione teologica del “Bible inerrabilty” che significa “Bibbia senza errori”. Il termine più accurato è quello inglese perché si differisce dal concetto dell’infallibilità biblica comune in quasi tutte le chiese riformate. Il concetto dell’“inerrabilty” è invece una particolarità più specifica delle chiese evangeliche d’America e dei paesi anglofoni. Nel suo contesto teologico l’”inerrability” è indicativo di un’applicazione più estrema dell’“infallibility”. Questa differenza fra l’“infallibility” e l’“inerrability” non sembra avere avuto eco in Italia e così, che io sappia, non esiste ancora una traduzione separata delle due parole, che ancora si traducono in “infallibilità”.

Il dogma dell'infallibilità
In ogni modo, nell’interpretazione dell’”inerrabilty”, ogni singola parola del testo Biblico è percepita come assoluto verbo di Dio, perfetto e privo di errori o influenze umane (meno che nel caso di qualche traduzione moderna). Non vi sarebbero differenze fra una frase di Salomone e una di Paolo, e Paolo o si accetta in tutto o in niente, perciò certe differenziazioni che abbiamo fatto sugli aspetti umani di Paolo, o sugli elementi superati dell’Antico Testamento, potrebbero essere causa di apprensione. In quest’ottica, mettere in discussione una sola parola della Bibbia equivarrebbe a metterla tutta in dubbio. Non si guarda a quel filo conduttore che attraversa il testo biblico, ma il testo stesso è dogma, legge divina scolpita nella roccia e tradizione inviolabile. Qualsiasi allontanamento da questo è automaticamente percepito come eresia, il che rende molti proponitori di questa credenza intransigenti nei confronti di altri cristiani, della diversità e dell’ecumenismo in generale.

Paura del relativismo
A mio avviso si tratta di un ragionamento circolare e lo dimostra l’interminabile faida fra gli stessi proponitori della teoria. Raramente, infatti, si trovano d’accordo sull’interpretazione degli stessi brani di scrittura. Il fatto che esistano fra loro così tante idee diverse, farebbe pensare a un’apertura ed elasticità maggiore, ma non è il caso. Quel che più li frena dall’esplorare idee alternative, è la paura di perdere dei riferimenti precisi e non sapere più di cosa fidarsi. Senza il dogma dell'"inerrability" temono di cadere nel relativismo e non riuscire più a riconoscere le parole di Dio.

Il Logos, la Scrittura e la Predicazione
Su questo direi che Gesù è la Parola “vivente” di Dio, il Logos, e che la Bibbia è il libro che lo racconta ed esprime per iscritto. Come tale si definisce Parola di Dio, come lo era anche la tradizione orale prima che fosse scritta (i primi cristiani avevano solo quella), e come tale può essere oggi anche la predicazione orale del vangelo. Ma fra tutte queste espressioni e la loro origine nel logos di Dio, esistono vari livelli di purezza e qualità. Essendo Cristo ben più ampio dei metodi di comunicazione umana, sia orale, sia scritta, è ovvio che a questi non si possa mai attribuire la perfezione e il culto che, a Lui solo, è dovuto.

Il teologo svizzero Emil Brunner, diede un’illustrazione brillante di questo concetto. Ci chiese di pensare a uno dei vecchi grammofoni che erano comuni ai suoi tempi. La voce che sentiamo, disse, è quella che vogliamo sentire, è la vera voce dell’artista che ci piace, ma la sentiamo attraverso l’inevitabile distorsione del disco. Ugualmente noi sentiamo l’autentica voce di Dio che ci parla attraverso le pagine della Bibbia, e sappiamo che è la voce di Dio per via del messaggio e della reazione che questa evoca nel nostro spirito. Cionondimeno, disse Brunner, sentiamo anche i rumori della macchina e dell’ago sulla superficie dura del disco, che non sono la voce del maestro. La verità di Dio non è sminuita dal fatto che la Sua voce sia registrata da esseri umani che hanno fatto del loro meglio per farcela pervenire, ma c’è differenza fra il rumore della macchina e il messaggio del Maestro. Identificare, quindi, gli aspetti umani di un apostolo, o di qualsiasi altro uomo di Dio, non interferisce con il messaggio di Dio ma lo rende più chiaro.

Gesù, parlando ai religiosi che conoscevano la scrittura a memoria, spiegò lo stesso concetto con queste parole: “Il Padre che mi ha mandato, egli stesso ha reso testimonianza di me. La sua voce, voi non l'avete mai udita; il suo volto, non l'avete mai visto; e la sua parola non dimora in voi, perché non credete in colui che egli ha mandato. Voi investigate le Scritture, perché pensate d'aver per mezzo di esse vita eterna, ed esse son quelle che rendono testimonianza di me; eppure non volete venire a me per aver la vita! [1]

E’ quel “venire a me” che spiega tutto. Molti affrontano la scrittura, la leggono, ricercano e scrivono tanto su di essa, ma non vengono a Lui. La scrittura da testimonianza di Lui, ma Lui è ovviamente più che la sola scrittura.

Un’altra analogia è quella della finestra tramite la quale vediamo Gesù. Quella finestra è la parola scritta della Bibbia. Leggendola vediamo Lui che sta fuori dalla porta e desidera entrare. Se apriamo la porta del nostro cuore Lui entra e lo conosceremo in spirito e verità. Se ci accontentiamo di vederlo solo dalla finestra e non apriamo la porta, la finestra sarà tutto quello che avremo di Gesù. L’immagine potrebbe anche essere chiara, ma non avremo mai modo di utilizzare gli altri sensi per scoprirlo appieno e avviare un rapporto completo. Inoltre, vedendolo solo dalla finestra, si potrebbe anche confondere macchie nel vetro o altre caratteristiche della finestra, con attributi di Gesù stesso. Aprire la porta è determinante.

I cicli delle istituzioni cristiane
Ho spesso sentito critiche su come gli ortodossi si sono sviati nel culto delle icone o i cattolici in quello di Maria o dell’eucarestia. Si accusa costoro di prendere quelli che dovevano essere simboli e immagini del Divino e di offrire loro il culto come a idoli. Ma ugualmente, usando l’illustrazione di Brunner, chi ha preso il disco dal grammofono e ha costruito un altare su cui riporlo e adorarlo, ha fatto la stessa cosa. Chi prende la Sacra Bibbia e le attribuisce ciò che va conferito solo a Dio, come perfezione e infallibilità, ha scambiato la creatura per il creatore allo stesso modo in cui alcuni fanno con luoghi sacri, reliquie e icone.

Sembra essere nell’indole umana prendere quello che Dio ci concede e, inevitabilmente, rivolgergli il nostro culto, dimenticandoci del donatore. Questa nostra proclività umana, che si voglia o no, si manifesta in qualsiasi forma di cristianesimo si adotti. Coloro che la riconoscono nel cristianesimo altrui e ne creano uno nuovo, finiscono poi per ricostruirla nel loro cristianesimo, sebbene in maniera più sottile, ma solo finché qualcuno la riconosce e crea, a sua volta, un altro nuovo cristianesimo, e la storia si ripete.

Nel mio metodo ho cercato di separare quegli elementi umani della scrittura e della religione, e aiutare il lettore a individuare il Dio vivente che, sebbene assai più ampio, è purché visibile attraverso la Bibbia. So che il mio è un debole e fallibile tentativo, ma spero e prego che da questo il lettore possa trarre spunto per andare oltre.

Un fondamento imprescindibile
Ribadisco che la Bibbia rimane sotto ogni aspetto un fondamento imprescindibile. Chiunque prenda quegli elementi umani degli scrittori Biblici come scusa per trascurarne l’importanza, commette un grave errore e si priva di un inestimabile dono. Spero che il lettore ne prenda lo studio a cuore e perseveri nel cercare attraverso essa la conoscenza più approfondita del suo autore.



1. Vangelo di Giovanni 5; 37 a 40