Nella sesta e ultima parte di questo metodo abbiamo parlato di profeti e profezie. Volutamente ho evitato quelle questioni un po' spinose che avrebbero potuto distrarci dall'apprendere prima la dinamica e ruolo fondamentale della profezia biblica. Cercheremo ora, in quest'appendice, di affrontare quelle domande più comuni sulle predizioni del futuro.
La stampa, la cinematografia e l’internet emettono un costante e abbondante flusso di predizioni. Alcune, come quelle riguardanti il calendario Maya, offrono perfino date precise in cui si presume che il nostro pianeta affronterà l'apocalisse, o altro cambiamento epocale. Ovviamente, la proliferazione di queste “profezie” è dovuta a un interesse pubblico. Sembra, infatti, che esista in molti la percezione quasi istintiva che qualcosa di serio incombe sul nostro mondo, e questo c'induce a cercare il veggente, la profezia, o la fisica, per saperne di più. Più complesso diventa il nostro modo di vivere, più rapidi sono i cambiamenti e più insicurezza c'è. Più instabili sono le nostre circostanze e più si accentua quel desiderio di sbirciare nel futuro per scoprire che cosa ci aspetta. Per quanto irriverente possa sembrare, diciamo che oggi la richiesta di mercato per i prodotti profetici è così alta che la produzione aumenta.
Falsi e veri profeti
Duemila anni fa Gesù disse che in quegli ultimi anni prima del suo ritorno sarebbero apparsi molti falsi profeti [1]. Allo stesso tempo la Bibbia dice che sarebbero sorti anche molti veri profeti [2]. Se la presenza di molti profeti è ciò che ci spetta, automaticamente ci si chiede come riconoscere il vero dal falso. Interpellato su questo, Gesù non diede una lunga lista di regole e criteri teologici con cui giudicare, ma diede una semplicissima risposta, disse: “dai loro frutti li riconoscerete” [3]. Secondo Gesù i risultati del profeta e della profezia sono ciò che ne dimostrano la natura. Come un buon albero porta buoni frutti, così il profeta di Dio porterà i frutti di Dio [4].
Tipi di profezia
Questo criterio dal vangelo è molto semplice, ma vediamo ora come applicarlo ai vari tipi di profezie, che grossolanamente si dividono nei seguenti gruppi:
1. Profezie bibliche, a volte riprese fedelmente dal libro e a volte adattate fantasiosamente dai vari mass media.
2. Nuove profezie e visioni che vari veggenti contemporanei affermano di avere ricevuto direttamente da Dio.
3. Profezie che derivano da veggenti e civiltà del passato, tipo Nostradamus, il calendario Maya, le piramidi d'Egitto, etc.
4. I vari maghi, astrologhi e cartomanti che offrono anche loro delle predizioni.
5. Le predizioni scientifiche, pseudoscientifiche, politiche ed economiche; quelle che prevedono l'inondazione del mondo dovuto all'effetto serra, il congelamento, la collisione con i meteoriti, il sovrappopolamento, nuove pestilenze e nuove guerre per ragioni economiche, per il petrolio, l'acqua, etc.
Si potrebbe dedurre da questa lista che alcuni tipi di profezia siano più affidabili di altri, ma non è necessariamente così. Il primo tipo, per esempio, ha a che fare con le ben confermate profezie bibliche, che meriterebbero la massima attendibilità, eppure esistono molti fraintesi e interpretazioni erronee, soprattutto quando lo scopo è una produzione cinematografica lucrativa. L'astrologia, d'altra parte, non meriterebbe grande affidabilità, eppure la bibbia ci dice che tre magi vennero dall'oriente seguendo una stella e trovarono Gesù [5].
Criteri di valutazione
Lo stesso vale per quelle predizioni che alcuni ritengono di avere ricevuto presumibilmente tramite incontri con angeli, profeti, santi o Maria. C'è chi esclude a priori tali possibilità, ma siccome ne esistono vari esempi nella bibbia, sconsiglierei l’eccessiva diffidenza. Che dirne allora? E' tutto vero? Tutto falso? Probabilmente c'è sia dell'uno sia dell'altro ed è meglio non giudicare a priori, ma valutare invece ogni caso secondo i suoi meriti, o frutti, come disse Gesù? A mio avviso, questo è il criterio più affidabile.
Per di più, Dio agisce spesso in modo contrario alle nostre aspettative e le sue profezie si avverano altrettanto diversamente e inaspettatamente. Dio non può essere delimitato dalla teologia e aspettativa umana, ma è libero di agire e parlare come vuole. Nel suo libro c'è scritto che parlò perfino attraverso un asino per fermare un profeta insensato [6] e Gesù disse che i sassi avrebbero potuto parlare [7]. In un caso molto strano una divinatrice evocò lo spirito del profeta Samuele [8] e poco prima della sua più grande prova, Dio mandò due defunti, Mosè ed Elia a consultare con Gesù [9]. Uno spirito portò la rivelazione dell'apocalisse all'apostolo Giovanni e quando Giovanni gli si prostrò davanti, questi lo sgridò e gli disse di non farlo perché lui era un suo simile e gli disse di adorare solo Dio [10]. Forse qui sta un criterio importante nella nostra valutazione d’incontri o messaggi da esseri mandati da Dio. Sono anch'essi strumenti come noi e commettiamo un grave errore se c'inginocchiamo davanti a loro e rendiamo loro il culto. L'errore non sta nel messaggero o il messaggio, ma nel nostro scambiare il messaggero con chi l’ha mandato.
Insomma è alquanto difficile stabilire una regola teologica e dottrinale tramite la quale riconoscere il vero dal falso. I Giudei, per esempio, avevano un’interpretazione rigida e dogmatica di come si sarebbero avverate le profezie messianiche e quando arrivò Gesù non lo riconobbero perché diverso da quello che si aspettavano. Per loro Gesù fu, infatti, un falso profeta [11]. Faremo così anche noi con le profezie sul suo ritorno, o è meglio rimanere aperti e non imporre più condizioni di quelle che Gesù stesso ci ha dato?
Previsioni e spiritualità alternative
Essere aperti, però non vuol dire abbandonare ogni giudizio e discernimento, tutt'altro. Secondo il criterio di Gesù, infatti, non basta che una predizione si avveri per giustificarla, il che potrebbe sembrare sufficiente alla maggior parte di noi. Il suo criterio va ben oltre, più a fondo, e ci chiede di esaminare gli intenti e gli effetti della profezia, non solo se si avvera. Se l'avverarsi fosse l'unico criterio, allora Giona sarebbe un falso profeta perché gli abitanti di Ninive si pentirono e Dio non eseguì i giudizi predetti.
Per di più esistono anche altre profezie nei libri sacri di altre religioni, cosicché, la profezia non è limitata al solo cristianesimo, né alle religioni monoteiste. Il Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe e Gesù, non è l'unico a vedere oltre i limiti della nostra comprensione. E' l'unico a essere onnipresente, onnisciente e onnipotente, ma esistono anche altre entità, come angeli, demoni, santi o semplici defunti, che possono, in vari modi ed entro diversi limiti vedere nel tempo e comunicare alle persone ciò che vedono. C'è il vero, il falso, l'ingannevole e l'utile.
Per questo è necessario considerarne i risultati più ampi, i frutti della persona, dello spirito, della profezia, e non solo se il fatto si avveri. Se, per esempio, mentre camminiamo, ci attraversa la strada un gatto nero e poco dopo ci capita qualcosa di spiacevole, non significa per niente che la superstizione sia un metodo valido di gestire la vita. Considerando che la fede è quello che Dio ci incoraggia ad avere, ed è la fede che opera in amore che compie miracoli [12]- considerando anche che la paura è l'antitesi della fede e che ha esattamente i risultati opposti della fede, perché è anch'essa fede, ma all'inverso - non ci sarebbe quindi da meravigliarsi se la superstizione, che opera tramite la paura (come tante fedi pagane), possa, in effetti, causare dei “miracoli” negativi. Questo tipo di predizioni che provocano paura di iella e sfortuna, sono da ignorate attivamente perché i loro frutti non sono l'amore, ma la paura – o una falsa speranza che delude sempre, come quando ci fa pensare che seguendo i suoi impulsi possiamo fare grandi vincite al lotto o altro gioco di fortuna. La dea fortuna potrebbe, infatti, essere una vera e propria entità spirituale che inganna con false promesse (profezie).
Coscienti dei nostri limiti, quando ci troviamo di fronte a un'esperienza miracolosa, o siamo sopraffatti dallo spavento, o da tale meraviglia che divinizziamo l'evento. Anche di fronte a una persona che dimostra capacità spirituali, si ha una simile reazione. Se qualcuno sembra capace di scrutare dentro di noi, di vedere il nostro passato e futuro, e se poi si dichiara pure cristiano … di fronte a questa situazione in cui ci sentiamo deboli e impreparati, tendiamo ad assoggettarci in umile e servile devozione. Questo è quello che vorrei ammonire il lettore a non fare, ma a rimanere saldo nel proprio giudizio e di misurare ogni cosa con il criterio datoci da Gesù.
D'altra parte vorrei anche mettere in guardia su chi afferma di avere tutte le risposte dalla bibbia e di potere giudicare tutto. La troppa certezza e il dogmatismo religioso tendono all'intolleranza e vanno contro lo spirito ed esempio di Gesù. Specialmente in tema di profezia è consigliabile rimanere aperti ad altre possibilità e lasciare che Dio riveli col tempo ciò che veramente intendeva nei suoi messaggi. Abbiamo tutti molto da imparare e l'umiltà è la via migliore.
Il pericolo per il profeta di Dio
Nel nuovo testamento il profetare e la profezia sono indicati come uno dei doni dello spirito e uno da desiderare ardentemente per il bene comune [13]. Lo spirito di Dio, ovviamente, è lo stesso oggi come ieri e così anche i suoi doni. La vera profezia è quindi in azione oggi come sempre. C'è da dire però che fra i vari doni dello spirito quello della profezia porta in se un pericolo inerente - quello della superbia - la tentazione di sentirsi meglio degli altri e di avere un rapporto privilegiato con Dio. Forse è proprio per questo, per mantenere i suoi profeti umili, che Dio chiese loro di fare cose così imbarazzanti, come andare in giro nudi [14], sposare prostitute e farle continuare il loro mestiere [15], essere imprigionati [16] e cucinare con sterco [17] (Isaia, Osea, Geremia ed Ezechiele). Quando Dio chiede a un uomo di essere il suo portavoce, di comunicare le sue parole profetiche in forma così diretta, è quasi inevitabile che la persona s’intaschi un po' di vanto personale. Anche la comprensione delle profezie già esistenti nella bibbia può condurre alla stessa tentazione. Come disse l'apostolo Paolo “la conoscenza gonfia ma l'amore edifica.” [18]
Forse anche per un'errata immagine attribuitagli nella cultura popolare, dove il ruolo del profeta è spesso percepito come quello dell'alieno che possiede un’intelligenza superiore e viene ai poveri terrestri con un ultimatum da civiltà superiori: “O fate quello che dico o perirete”. Insomma, quello del profeta è dipinto come ruolo drammatico e non molto umile. Da parte mia ho visto un buon numero di sinceri cristiani cadere in questa percezione di se e della loro auto-importanza. Nel loro ruolo “profetico” tendono a concentrarsi principalmente sulle colpe degli altri e a emettere giudizi nei loro confronti. Purtroppo questa superbia spirituale è il peccato peggiore e il più difficile da riconoscere, specialmente da chi ne è afflitto.
D'altro lato, nessuno che abbia ricevuto da Dio il dono della profezia è necessariamente e immediatamente umile, santo e perfetto... se fosse così, non esisterebbe nessuna profezia. Re Davide, nei cui salmi Dio inserì varie profezie messianiche, era tutt'altro che un modello di santità. In effetti, Dio usa uomini deboli tramite cui dare il suo messaggio e questo ci rende più facile riconoscere la mano di Dio in loro, e a non confonderla con quella dell'uomo. L'uomo, anche se un buon profeta, è inevitabile che faccia degli errori. Un buon melo che fa buone mele, ne fa anche qualcuna malata e col verme. Non tutto quello che un profeta dice, è parola di Dio, perché il profeta non è Dio ma uomo.
Di solito il profeta inizia bene. Si sente incapace umile e disperato con Dio. Dio, si sa, è attratto dall'umiltà e così riversa in lui il suo spirito e il dono di profezia. In questo stato il profeta riceve messaggi genuini da Dio che portano buoni risultati. In un secondo momento però il profeta potrebbe insuperbirsi e perdere l'unzione di Dio. Più tardi ancora potrebbe ritornare umile e Dio potrebbe usarlo di nuovo, come con Sansone [19]. Il nostro ruolo è di apprezzare il profeta per quello che ci dà da Dio, ma anche di tenere il nostro sguardo su Dio e non l'uomo. Dio parla alle persone e attraverso le persone, ma questo non rende loro soprannaturali, ne garantisce che non si svieranno. Molti profeti, infatti, hanno iniziato bene per poi finire male e nella maggior parte dei casi hanno avuto i loro alti e bassi, come tutti noi.
E’ Dio che conferma il profeta e il suo messaggio e non il profeta stesso. Questa convalida è inoltre “stagionale” e qualora il tralcio (profeta) non porti più frutto, è reciso [20]. Alcune religioni, non riconoscendo questo hanno fissato le parole del profeta come dogma inviolabile, trasformando il profeta stesso in divinità e chiudendo la porta a tutto quello che non combaciava col vecchio profeta. Inizialmente c'era un'ispirazione divina ma tutto si è poi trasformato in una distorsione umana. Il seme del messaggio divino rimane e per questo si trova in loro un po' di luce, ma spesso è fioca e impercettibile per la moltitudine di tradizioni che la sovrastano.
Alcune indicazioni sui profeti e le profezie
A questo punto tenterei perfino di dare alcuni indizi sulle manifestazioni e atteggiamenti del vero profeta o di chiunque porti un messaggio da Dio.
• Il vero profeta è umile.
• Sa di essere solo un messaggero e di vedere solo la minima parte del tutto.
• Da gloria a Dio e non esita a umiliare e metter in dubbio se stesso.
• Esibisce i frutti dello spirito e non rivendica santità.
• Il suo messaggio porta i medesimi frutti in chi lo riceve.
• Non è dogmatico e non condanna ma ha compassione per i deboli.
• Non s'infastidisce dai dubbi degli altri.
• Non crea negli altri né dipendenza, adulazione o ansia, ma speranza e il desiderio di avvicinarsi a Dio.
Divinazione
Un'ultima domanda è sulla divinazione come metodo per scoprire il futuro. Esistono vari metodi come i tarocchi, fondi di caffè, sedute spiritiche e altri oggetti che si usano a tale scopo. Nell'Antico Testamento non c'era nessuna tolleranza verso questo tipo di cose, molto probabilmente per via degli spiriti maligni che intervenivano in tali attività. Nella sua infanzia spirituale l'uomo però aveva bisogno di segni per riconoscere la Sua volontà e così Dio permise allora una forma di divinazione positiva che avveniva tramite delle pietre, l'Urim e il Thunnim [21]. La stessa arca del patto era un oggetto veramente magico in cui vi era una luce miracolosa [22]. Da questo si dedurrebbe che Dio abbia usato solo quegli oggetti e forme di comunicazione che lui stesso aveva stabilito e che chi andava oltre a questi entrava, per così dire, in campi minati. Il cristiano, però, non ha bisogno di niente del genere, nemmeno di quegli oggetti divinatori dell'Antico Testamento per comunicare con Dio, perché Dio lo invita ora a una relazione diretta.
Nella nostra fragilità umana siamo però sempre attratti dalle scorciatoie, dal cercare qualcosa di terreno e visibile che ci faciliti l'opera. Invece di studiare le sue parole e cercare in preghiera la sua volontà, trascuriamo Dio per poi pretendere una risposta veloce che ripari i nostri guai. Invece di stare in silenzio e imparare a riconoscere la sua voce nel nostro cuore, guardiamo intorno per un suo aiuto visibile. In questa condizione cerchiamo un oggetto sacro che ci porti buoni auspici, o andiamo in un luogo sacro per la stessa ragione, cercando un segno, un profumo, una manifestazione di sorta che sollevi la nostra fede. Più comunemente apriamo la bibbia a caso, sperando che magicamente ci arrivino le parole giuste. In questo modo cerchiamo Lui ma finiamo con l'usare una forma, seppure buona, di divinazione. Per certi gruppi di credenti è quasi la regola e molti si chiedono se questo sia un metodo valido per interpellare Dio.
Di solito funziona così; si chiede a Dio un messaggio, una risposta a un quesito o guida per il futuro. In effetti, si sta chiedendo una profezia, ma non nel modo usuale in cui il dono di profezia si manifesta. In questo caso la preghiera è seguita dall'apertura a caso della Bibbia e si suppone che Dio guidi miracolosamente quell'apertura così che le scritture che appaiono sono, in effetti, la risposta diretta alla preghiera fatta. Spesso segue un'interpretazione di quello che si legge e si cerca di decifrarlo e adattarlo alla situazione in merito.
C'è chi sostiene che il metodo è valido perché utilizza la parola di Dio e la preghiera. Altri invece affermano che la cosa non è diversa da altre forme di divinazione e perciò i messaggi sono inaffidabili, a volte veri e a volte no. In ogni modo il metodo dipende molto dal fattore caso (combinazione fortunata) e la soggettività di chi interpreta. Siccome è ampiamente riconosciuto che l'interpretazione migliore di qualsiasi scrittura è quella nel suo contesto originale e questo metodo si scosta notevolmente da questo, perciò neanche io lo ritengo molto affidabile. Il fattore magico dell'intervento di Dio tramite la mano umana e la scelta fra molte pagine non è per me il metodo preferibile che Dio ha di comunicare con noi. Incoraggerei invece il lettore a praticare le varie forme di preghiera disponibili e a cercare quei momenti di preghiera silenziosa in cui s’impara ad ascoltare la voce di Dio. E' quel saper riconoscere la Sua voce nel nostro cuore che poi ci rende capaci di riconoscerla o no nelle varie profezie che udiamo.
Questa è comunque una mia opinione personale e non da prendere come regola. Io stesso, infatti, ho avuto due momenti di particolare sconforto in cui mi sono sentito spinto ad aprire la bibbia a caso e Dio mi guidò alle risposte di cui avevo bisogno in quel momento. In un altro caso Dio supplì tutti i soldi di cui avevo bisogno per andare in missione in India tramite un biglietto della lotteria che ci fu regalato. Ci provai di nuovo, sia con la lotteria, sia ad aprire la Bibbia a caso, ma non diede più gli stessi risultati. Dio non volle perché erano delle eccezioni e non voleva che io ponessi la mia fiducia in quei metodi. Dio, però, è Dio e quando vuole, può usare ogni cosa per il suo scopo, anche il diavolo, e lo sta facendo.
Spero che questo abbia risposto ad alcune domande riguardo alle profezie e al cercare di vedere il futuro. Mi dispiace se non ho potuto soddisfare il desiderio di risposte più chiare, ma se le avessimo, forse perderemmo qualcosa di migliore, che è l'opportunità di cercare la Sua mano giorno per giorno per farci guidare da Lui.
Non siate dunque con ansietà solleciti del domani; perché il domani sarà sollecito di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno. Matteo 6; 34
1. Vangelo di Matteo 24; 11
2. Atti degli Apostoli 2; 17, 18 e Apocalisse 11; 3
3. Vangelo di Matteo 7: 14 a 18
4. Epistola ai Galati 5; 22
5. Vangelo di Matteo 2; 2
6. Numeri 22; 28
7. Vangelo di Luca 19; 40
8. 1° Samuele 28
9. Vangelo di Luca 9; 30, 31
10. Apocalisse 22; 8, 9
11. Vangelo di Marco 3; 21, 22
12. 1° Giovanni 5; 4 3 e Galati 5; 6
13. 1° Epistola ai Corinzi 14; 1 a 5
14. Isaia 20; 2, 3
15. Osea 1; 2
16. Geremia 20; 2
17. Ezechiele 4; 12 a 15
18. 1° Epistola ai Corinzi 8; 1 a 3
19. Giudici capitoli 13 a 16
20. Vangelo di Giovanni 15; 1 a 6
21. Esodo 28; 30, 1° Samuele 28; 6 e Nehemia 7; 65
22. Numeri 7; 89
lunedì 22 novembre 2010
sabato 6 novembre 2010
VI Parte
I Profeti e le Profezie
Qualsiasi metodo per lo studio Biblico non sarebbe completo se non includesse anche l’aspetto escatologico. Eccoci quindi alla nostra sesta e ultima parte dedicata per l'appunto ai profeti e alle profezie. Premetto che sarà un approccio diverso da quello usato in precedenza perché l'argomento non si limita a un singolo testamento o sezione della Bibbia, ma attraversa invece l'intero libro. Abbiamo finora guardato al passato, la storia, i vari insegnamenti biblici e la loro attinenza al presente, ma ora guarderemo al futuro. La bibbia, dalla Genesi all'Apocalisse, riporta una miriade d’illustrazioni e messaggi profetici che indicano un progetto divino completo. Guarderemo ora al suo compimento e come le profezie lo descrivono.
Prima che Abramo fosse, io sono
Per capire come funziona la profezia bisogna innanzitutto renderci conto che Dio non è limitato dalla nostra cognizione di tempo, ma vede il passato, presente e futuro come se fossero un’unica cosa. Per lui non c'è bisogno di guardare avanti o indietro nel tempo, perché lui è “presente” in ogni momento. Gesù descrisse questa caratteristica di Dio nella frase: “In verità io vi dico, che avanti che Abramo fosse nato, io sono.” [1]
Sebbene la fisica offra delle spiegazioni teoriche e razionali sulla manipolazione del tempo, la fede rimane l'unica via perché si basa su informazioni ricevute da chi ha creato e non è limitato dal tempo. Solo per fede possiamo sapere che Dio ha decretato la nostra dimensione temporale semplicemente chiamandola in esistenza. Che ci ha dato il libero arbitrio, la libertà di scegliere il nostro futuro, ma che allo stesso tempo lo vede come se fosse già avvenuto. Quello che per noi è un controsenso, non lo è per Lui e perciò la fede nelle sue parole, specialmente quelle profetiche, è determinante. Sono queste, infatti, che ci conducono oltre i limiti della ragione e ci rendono partecipi della sua natura. L'apostolo Pietro lo spiegò così “ci son donate preziose e grandissime promesse affinché per esse voi siate fatti partecipi della natura divina” [2].
Molte di queste promesse si trovano nei libri profetici dell'Antico Testamento, ma non solo. L'intera Bibbia è, infatti, cosparsa di spiragli sul futuro e dettagli sul programma di Dio. I salmi di Davide, per esempio, sono dei canti di lode senza pretese profetiche, eppure contengono dozzine di profezie messianiche. E impossibile quindi fare una lista dei capitoli profetici da studiare. Sarebbe inoltre impossibile dare un'adeguata introduzione al tema e lasciare che ognuno se lo studi per conto suo, come abbiamo fatto con le altre parti della Bibbia. I dettagli delle centinaia di profezie che scorrono le migliaia di anni di storia, sono semplicemente troppi. Ci sarebbe da identificare quali profezie sono state adempiute nella storia e quali invece riguardano il nostro futuro. Certe profezie poi sono chiare e specifiche, mentre altre sono criptiche e la loro interpretazione è ancora speculativa. Solo il tempo confermerà o no le varie ipotesi in campo. In ogni modo, per non appesantire il formato finora adottato, ho deciso di tralasciare sia i dettagli di eventi passati, sia le teorie sul futuro e guardare invece al quadro più ampio del disegno profetico. Credo che, a sua volta, questo faciliterà in ogni modo un eventuale approfondimento.
Cominciando dalla Genesi, vediamo che c'è un progetto in cui Dio crea una dimensione materiale, il che implica il tempo, poi si proietta in essa attraverso l'uomo e la donna, creati a sua immagine. Il progetto inizia fuori dal tempo, nella mente di Dio, ed è destinato a concludersi nell'eternità, quindi di là dalla nostra cognizione di vita. Nel tempo non c'è niente di completo e ogni giudizio che non prenda in considerazione il non tempo è assolutamente inadeguato. L'apostolo Paolo lo afferma con queste parole “mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché le cose che si vedono son solo per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne.” [3] Ecco quindi il contesto escatologico in cui ogni cosa può essere giustamente collocata e valutata. Solo Dio però lo vede per intero e può dirci come comportarci in relazione ad esso.
La comunicazione profetica adempie questa funzione e “La testimonianza di Gesù; è lo spirito della profezia.” [4] Le sue parole ci insegnano che la vita terrena fa parte di un disegno, di cui la nostra nascita fisica ne è solo l'inizio, e che c'è la possibilità di nascere anche spiritualmente, di una successiva crescita, eventuale maturità e di vita oltre al tempo. Gesù lo spiegò così “Quel che è nato dalla carne, è carne; e quel che è nato dallo Spirito, è spirito. Non ti meravigliare se t’ho detto: Bisogna che nasciate di nuovo.” [5] Questa è la grande opportunità e scopo di questa vita, quello di diventare creature spirituali ed eterne che vivranno con lui per sempre in quella dimensione eterna di là di quella virtuale del tempo. Quest’opportunità è soggetta al nostro libero arbitrio e non c'è imposta da Dio. In questo senso diventiamo partecipi nella nostra stessa creazione tramite le scelte che facciamo.
Il libero arbitrio e la rivelazione
La parte più importante della sua creazione non è quella materiale, temporanea, ma quella spirituale, eterna. In un certo qual modo siamo programmati a vita eterna perché creati a sua immagine, ma il programma deve seguire il suo decorso altrimenti non funziona. La vita, la gioia, la sofferenza e la morte fanno tutte parte del decorso tramite il quale scegliamo e ci autodeterminiamo. Nella nostra scuola di vita dobbiamo vivere ogni momento per quello che ci porta e scegliere secondo gli elementi a nostra disposizione in quel momento. Se sapessimo tutto in anticipo, questo ci deruberebbe del progresso di cui abbiamo bisogno. Come con un esame a scuola, se lo copiassimo, otterremmo dei buoni voti, ma non saremmo in grado di usare una conoscenza sottratta sommariamente e non imparata. Per noi questa dimensione temporale è determinante al completamento della nostra stessa creazione e scelta di quel destino che va di là dal tempo.
Per questo Dio cela il futuro e ci rende incapaci di vederlo. Ma per chi è nato di nuovo, per chi è arrivato al punto di chiedersi la ragione del tutto, per chi ha fame di Dio, per chi cerca le cose che non si vedono e sono eterne, Dio da una testimonianza... lo spirito profetico di Gesù. Dio racconta il suo progetto eterno, da degli indizi, delle tappe, delle visioni e quanto basta per sopperire alla necessità dei suoi figli, ma non troppo.
Spiragli profetici dalla Genesi all'Apocalisse
Un esempio: Dio sa fin dall'inizio che l'uomo per crescere deve perdersi e che Lui stesso deve farsi uomo e morire per lui, per condurlo al suo destino eterno. Da questo vediamo che Dio ci vuole e ha bisogno di noi, altrimenti non intraprende un progetto del genere. Anche noi abbiamo bisogno di Lui ma lo impariamo solo nel tempo, tramite esperienza. Dio ci aiuta in questo dandoci degli spiragli e strumenti profetici tramite i quali possiamo vedere oltre alla nostra condizione temporanea. Nella Genesi il sacrificio dell'agnello di Abele era un tale strumento, un simbolo e una profezia messianica. Si basava sul fatto che Dio stesso muore per il peccato umano e da riconciliazione. Questa riconciliazione, sebbene già reale in Dio, si manifestò nel tempo circa quattromila anni dopo, in Gesù. “Giovanni vide Gesù che veniva a lui, e disse: Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” [6]
Dall’inizio alla fine la Bibbia è cosparsa di tali simboli, strumenti e profezie che indicano le tappe della storia umana, l'intervento salvifico di Dio e la finale realizzazione del suo progetto. Fin dall'inizio è esistita questa promessa di salvezza, di vita eterna, di giustizia universale e redenzione del mondo. Le profezie messianiche sono centinaia e sparse in tutto l'antico testamento, dalla Genesi ai libri profetici, che ne racchiudono una buona parte. Gesù citò spesso i profeti e nella preghiera che lui insegnò, quella più recitata da milioni di cristiani in tutto il mondo, si trova la frase “venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra”. [7] E' un riferimento diretto alle profezie di Daniele in cui i vari imperi del mondo furono predetti, così come la loro dissoluzione e la discesa del regno di Dio in terra, come in cielo. Questo evento rivelato a Daniele, è poi ripreso ed elaborato da Gesù e si trova in Matteo 24, Marco 13 e Luca 21. Anche l'apostolo Paolo ebbe delle rivelazioni e le incluse nelle sue epistole, ma la rivelazione per eccellenza che Gesù diede all'apostolo Giovanni fu l'Apocalisse. E' l'ultimo libro della Bibbia e quel regno per cui Gesù invitò a pregare è descritto ancora più dettagliatamente nei suoi ultimi capitoli. E' il gran finale della strabiliante sinfonia di Dio e quello in cui tutti i credenti hanno sperato. Una speranza consistente, per via delle garanzie e autenticazioni che Dio ci ha dato.
Il cuore delle profezie
Come la parte centrale del messaggio profetico nell'antico testamento non fu il susseguirsi di guerre e imperi predetti secoli o millenni prima, ma fu Cristo – e fu Lui che tutte le profezie messianiche annunciavano e che i riti, sacrifici, e funzioni religiose dell'Antico Testamento indicavano. Per questo Gesù disse “non pensate ch’io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io son venuto non per abolire ma per compire” [8] Col suo sacrificio finale si adempì tutto e così l'Antica religione, con le sue figure profetiche fu compiuta. Perfino la cortina del tempio si squarciò, rivelando che l'arca del patto non c'era più e il tempio stesso fu di lì a poco distrutto irrimediabilmente. La profezia che percorreva dalla Genesi alle disposizioni Mosaiche, aveva finalmente incontrato la sua realizzazione.
Anche la parte finale del messaggio profetico, sia dell'Antico sia del Nuovo Testamento, quella ancora in sospeso e per cui aspettiamo, non ha tanto a che fare con quegli eventi predetti per gli ultimi anni, come l'anticristo e le varie tribolazioni che il mondo affronterà. La parte centrale di queste è il ritorno di Gesù, che inaugurerà il suo regno in terra come è in cielo. Questo è quello che Gesù ci chiede di desiderare e invocare. Le profezie messianiche, in parte adempiute in Gesù duemila anni fa, si completeranno con il suo ritorno e il realizzarsi del suo regno in terra.
Un elemento importante di quel lieto fine, e che sfida la nostra comprensione, sono le nozze dell'Agnello, quel gran finale cui sono dedicate le ultime frasi della Bibbia. Il linguaggio nuziale, uno dei preferiti in vari messaggi profetici dove Dio descrive il suo rapporto col suo popolo, diventa molto specifico in queste ultime righe. I teologi hanno discusso a lungo se si tratta per lo più di una semplice metafora, o di una vera e propria indicazione dello scopo per cui Dio ci ha creati.
In un certo qual modo in quel giorno ci sarà uno sposalizio fra la dimensione terrena e quella celeste, fra il temporale e l'eternità. La bibbia ci dice che saremo trasformati e che saremo come Lui e lo vedremo come Lui è. Finora è stato lui a diventare come noi per capirci e comunicare con noi. In quel giorno saremo noi a essere finalmente come lui. [9] E per cosa? Per unirci a lui in matrimonio? Una metafora? Forse, ma molto adatta, perché il progetto di Dio sarà completo quando Dio si sarà unito e propagato con noi.
E che ne sarà di chi non l'ha conosciuto, quelli che non sono nati di nuovo o che l'hanno addirittura rigettato? La bibbia ci parla di vari stadi che l'umanità dovrà ancora attraversare e parla di popoli e nazioni che vivranno fuori dalla città celeste, ma in un mondo migliore. In quella città celeste, è scritto, “v’era l’albero della vita, che fa dodici frutti, rendendo il suo frutto per ciascun mese; e le fronde dell’albero sono per la guarigione delle genti.” [10] Non vorrei speculare oltremodo su cosa siano le fronde e su quando questo avverrà, ma una cosa sembra certa, che Dio continuerà a cercare di guarire e salvare ogni popolo e nazione. Forse questo è anche il nostro compito, siccome Lui chiede a chiunque dice di amarlo, di amare anche il suo prossimo. Se Dio è amore, e lo è, allora lui non sarà soddisfatto fino a che ogni sua creatura è redenta... e nemmeno noi dovremmo esserlo.
Chiudo quindi così questo metodo, con questo invito ai lettori a non essere soddisfatti con la mera comprensione della Bibbia, la sua storia, teologia ed escatologia, e neanche con una relazione intima e profonda con Dio, che è ciò che soddisfa più di ogni altra cosa; ma invito chi legge a farsi partecipe del progetto e desiderio di Dio, e far si che tramite la loro semplice testimonianza anche altri possano conoscerlo. [11]
1. Vangelo di Giovanni 8; 58
2. Seconda epistola di Pietro 1; 4
3. Seconda epistola ai Corinzi 4; 18
4. Apocalisse 19; 10
5. Vangelo di Giovanni 3; 6,7
6. Vangelo di Giovanni 1; 29
7. Vangelo di Matteo 6; 10
8. Vangelo di Matteo 5; 17
9. Prima epistola di Giovanni 3; 2
10. Apocalisse 22; 2
11. Epistola agli Ebrei 8; 11
Qualsiasi metodo per lo studio Biblico non sarebbe completo se non includesse anche l’aspetto escatologico. Eccoci quindi alla nostra sesta e ultima parte dedicata per l'appunto ai profeti e alle profezie. Premetto che sarà un approccio diverso da quello usato in precedenza perché l'argomento non si limita a un singolo testamento o sezione della Bibbia, ma attraversa invece l'intero libro. Abbiamo finora guardato al passato, la storia, i vari insegnamenti biblici e la loro attinenza al presente, ma ora guarderemo al futuro. La bibbia, dalla Genesi all'Apocalisse, riporta una miriade d’illustrazioni e messaggi profetici che indicano un progetto divino completo. Guarderemo ora al suo compimento e come le profezie lo descrivono.
Prima che Abramo fosse, io sono
Per capire come funziona la profezia bisogna innanzitutto renderci conto che Dio non è limitato dalla nostra cognizione di tempo, ma vede il passato, presente e futuro come se fossero un’unica cosa. Per lui non c'è bisogno di guardare avanti o indietro nel tempo, perché lui è “presente” in ogni momento. Gesù descrisse questa caratteristica di Dio nella frase: “In verità io vi dico, che avanti che Abramo fosse nato, io sono.” [1]
Sebbene la fisica offra delle spiegazioni teoriche e razionali sulla manipolazione del tempo, la fede rimane l'unica via perché si basa su informazioni ricevute da chi ha creato e non è limitato dal tempo. Solo per fede possiamo sapere che Dio ha decretato la nostra dimensione temporale semplicemente chiamandola in esistenza. Che ci ha dato il libero arbitrio, la libertà di scegliere il nostro futuro, ma che allo stesso tempo lo vede come se fosse già avvenuto. Quello che per noi è un controsenso, non lo è per Lui e perciò la fede nelle sue parole, specialmente quelle profetiche, è determinante. Sono queste, infatti, che ci conducono oltre i limiti della ragione e ci rendono partecipi della sua natura. L'apostolo Pietro lo spiegò così “ci son donate preziose e grandissime promesse affinché per esse voi siate fatti partecipi della natura divina” [2].
Molte di queste promesse si trovano nei libri profetici dell'Antico Testamento, ma non solo. L'intera Bibbia è, infatti, cosparsa di spiragli sul futuro e dettagli sul programma di Dio. I salmi di Davide, per esempio, sono dei canti di lode senza pretese profetiche, eppure contengono dozzine di profezie messianiche. E impossibile quindi fare una lista dei capitoli profetici da studiare. Sarebbe inoltre impossibile dare un'adeguata introduzione al tema e lasciare che ognuno se lo studi per conto suo, come abbiamo fatto con le altre parti della Bibbia. I dettagli delle centinaia di profezie che scorrono le migliaia di anni di storia, sono semplicemente troppi. Ci sarebbe da identificare quali profezie sono state adempiute nella storia e quali invece riguardano il nostro futuro. Certe profezie poi sono chiare e specifiche, mentre altre sono criptiche e la loro interpretazione è ancora speculativa. Solo il tempo confermerà o no le varie ipotesi in campo. In ogni modo, per non appesantire il formato finora adottato, ho deciso di tralasciare sia i dettagli di eventi passati, sia le teorie sul futuro e guardare invece al quadro più ampio del disegno profetico. Credo che, a sua volta, questo faciliterà in ogni modo un eventuale approfondimento.
Cominciando dalla Genesi, vediamo che c'è un progetto in cui Dio crea una dimensione materiale, il che implica il tempo, poi si proietta in essa attraverso l'uomo e la donna, creati a sua immagine. Il progetto inizia fuori dal tempo, nella mente di Dio, ed è destinato a concludersi nell'eternità, quindi di là dalla nostra cognizione di vita. Nel tempo non c'è niente di completo e ogni giudizio che non prenda in considerazione il non tempo è assolutamente inadeguato. L'apostolo Paolo lo afferma con queste parole “mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché le cose che si vedono son solo per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne.” [3] Ecco quindi il contesto escatologico in cui ogni cosa può essere giustamente collocata e valutata. Solo Dio però lo vede per intero e può dirci come comportarci in relazione ad esso.
La comunicazione profetica adempie questa funzione e “La testimonianza di Gesù; è lo spirito della profezia.” [4] Le sue parole ci insegnano che la vita terrena fa parte di un disegno, di cui la nostra nascita fisica ne è solo l'inizio, e che c'è la possibilità di nascere anche spiritualmente, di una successiva crescita, eventuale maturità e di vita oltre al tempo. Gesù lo spiegò così “Quel che è nato dalla carne, è carne; e quel che è nato dallo Spirito, è spirito. Non ti meravigliare se t’ho detto: Bisogna che nasciate di nuovo.” [5] Questa è la grande opportunità e scopo di questa vita, quello di diventare creature spirituali ed eterne che vivranno con lui per sempre in quella dimensione eterna di là di quella virtuale del tempo. Quest’opportunità è soggetta al nostro libero arbitrio e non c'è imposta da Dio. In questo senso diventiamo partecipi nella nostra stessa creazione tramite le scelte che facciamo.
Il libero arbitrio e la rivelazione
La parte più importante della sua creazione non è quella materiale, temporanea, ma quella spirituale, eterna. In un certo qual modo siamo programmati a vita eterna perché creati a sua immagine, ma il programma deve seguire il suo decorso altrimenti non funziona. La vita, la gioia, la sofferenza e la morte fanno tutte parte del decorso tramite il quale scegliamo e ci autodeterminiamo. Nella nostra scuola di vita dobbiamo vivere ogni momento per quello che ci porta e scegliere secondo gli elementi a nostra disposizione in quel momento. Se sapessimo tutto in anticipo, questo ci deruberebbe del progresso di cui abbiamo bisogno. Come con un esame a scuola, se lo copiassimo, otterremmo dei buoni voti, ma non saremmo in grado di usare una conoscenza sottratta sommariamente e non imparata. Per noi questa dimensione temporale è determinante al completamento della nostra stessa creazione e scelta di quel destino che va di là dal tempo.
Per questo Dio cela il futuro e ci rende incapaci di vederlo. Ma per chi è nato di nuovo, per chi è arrivato al punto di chiedersi la ragione del tutto, per chi ha fame di Dio, per chi cerca le cose che non si vedono e sono eterne, Dio da una testimonianza... lo spirito profetico di Gesù. Dio racconta il suo progetto eterno, da degli indizi, delle tappe, delle visioni e quanto basta per sopperire alla necessità dei suoi figli, ma non troppo.
Spiragli profetici dalla Genesi all'Apocalisse
Un esempio: Dio sa fin dall'inizio che l'uomo per crescere deve perdersi e che Lui stesso deve farsi uomo e morire per lui, per condurlo al suo destino eterno. Da questo vediamo che Dio ci vuole e ha bisogno di noi, altrimenti non intraprende un progetto del genere. Anche noi abbiamo bisogno di Lui ma lo impariamo solo nel tempo, tramite esperienza. Dio ci aiuta in questo dandoci degli spiragli e strumenti profetici tramite i quali possiamo vedere oltre alla nostra condizione temporanea. Nella Genesi il sacrificio dell'agnello di Abele era un tale strumento, un simbolo e una profezia messianica. Si basava sul fatto che Dio stesso muore per il peccato umano e da riconciliazione. Questa riconciliazione, sebbene già reale in Dio, si manifestò nel tempo circa quattromila anni dopo, in Gesù. “Giovanni vide Gesù che veniva a lui, e disse: Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” [6]
Dall’inizio alla fine la Bibbia è cosparsa di tali simboli, strumenti e profezie che indicano le tappe della storia umana, l'intervento salvifico di Dio e la finale realizzazione del suo progetto. Fin dall'inizio è esistita questa promessa di salvezza, di vita eterna, di giustizia universale e redenzione del mondo. Le profezie messianiche sono centinaia e sparse in tutto l'antico testamento, dalla Genesi ai libri profetici, che ne racchiudono una buona parte. Gesù citò spesso i profeti e nella preghiera che lui insegnò, quella più recitata da milioni di cristiani in tutto il mondo, si trova la frase “venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra”. [7] E' un riferimento diretto alle profezie di Daniele in cui i vari imperi del mondo furono predetti, così come la loro dissoluzione e la discesa del regno di Dio in terra, come in cielo. Questo evento rivelato a Daniele, è poi ripreso ed elaborato da Gesù e si trova in Matteo 24, Marco 13 e Luca 21. Anche l'apostolo Paolo ebbe delle rivelazioni e le incluse nelle sue epistole, ma la rivelazione per eccellenza che Gesù diede all'apostolo Giovanni fu l'Apocalisse. E' l'ultimo libro della Bibbia e quel regno per cui Gesù invitò a pregare è descritto ancora più dettagliatamente nei suoi ultimi capitoli. E' il gran finale della strabiliante sinfonia di Dio e quello in cui tutti i credenti hanno sperato. Una speranza consistente, per via delle garanzie e autenticazioni che Dio ci ha dato.
Il cuore delle profezie
Come la parte centrale del messaggio profetico nell'antico testamento non fu il susseguirsi di guerre e imperi predetti secoli o millenni prima, ma fu Cristo – e fu Lui che tutte le profezie messianiche annunciavano e che i riti, sacrifici, e funzioni religiose dell'Antico Testamento indicavano. Per questo Gesù disse “non pensate ch’io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io son venuto non per abolire ma per compire” [8] Col suo sacrificio finale si adempì tutto e così l'Antica religione, con le sue figure profetiche fu compiuta. Perfino la cortina del tempio si squarciò, rivelando che l'arca del patto non c'era più e il tempio stesso fu di lì a poco distrutto irrimediabilmente. La profezia che percorreva dalla Genesi alle disposizioni Mosaiche, aveva finalmente incontrato la sua realizzazione.
Anche la parte finale del messaggio profetico, sia dell'Antico sia del Nuovo Testamento, quella ancora in sospeso e per cui aspettiamo, non ha tanto a che fare con quegli eventi predetti per gli ultimi anni, come l'anticristo e le varie tribolazioni che il mondo affronterà. La parte centrale di queste è il ritorno di Gesù, che inaugurerà il suo regno in terra come è in cielo. Questo è quello che Gesù ci chiede di desiderare e invocare. Le profezie messianiche, in parte adempiute in Gesù duemila anni fa, si completeranno con il suo ritorno e il realizzarsi del suo regno in terra.
Un elemento importante di quel lieto fine, e che sfida la nostra comprensione, sono le nozze dell'Agnello, quel gran finale cui sono dedicate le ultime frasi della Bibbia. Il linguaggio nuziale, uno dei preferiti in vari messaggi profetici dove Dio descrive il suo rapporto col suo popolo, diventa molto specifico in queste ultime righe. I teologi hanno discusso a lungo se si tratta per lo più di una semplice metafora, o di una vera e propria indicazione dello scopo per cui Dio ci ha creati.
In un certo qual modo in quel giorno ci sarà uno sposalizio fra la dimensione terrena e quella celeste, fra il temporale e l'eternità. La bibbia ci dice che saremo trasformati e che saremo come Lui e lo vedremo come Lui è. Finora è stato lui a diventare come noi per capirci e comunicare con noi. In quel giorno saremo noi a essere finalmente come lui. [9] E per cosa? Per unirci a lui in matrimonio? Una metafora? Forse, ma molto adatta, perché il progetto di Dio sarà completo quando Dio si sarà unito e propagato con noi.
E che ne sarà di chi non l'ha conosciuto, quelli che non sono nati di nuovo o che l'hanno addirittura rigettato? La bibbia ci parla di vari stadi che l'umanità dovrà ancora attraversare e parla di popoli e nazioni che vivranno fuori dalla città celeste, ma in un mondo migliore. In quella città celeste, è scritto, “v’era l’albero della vita, che fa dodici frutti, rendendo il suo frutto per ciascun mese; e le fronde dell’albero sono per la guarigione delle genti.” [10] Non vorrei speculare oltremodo su cosa siano le fronde e su quando questo avverrà, ma una cosa sembra certa, che Dio continuerà a cercare di guarire e salvare ogni popolo e nazione. Forse questo è anche il nostro compito, siccome Lui chiede a chiunque dice di amarlo, di amare anche il suo prossimo. Se Dio è amore, e lo è, allora lui non sarà soddisfatto fino a che ogni sua creatura è redenta... e nemmeno noi dovremmo esserlo.
Chiudo quindi così questo metodo, con questo invito ai lettori a non essere soddisfatti con la mera comprensione della Bibbia, la sua storia, teologia ed escatologia, e neanche con una relazione intima e profonda con Dio, che è ciò che soddisfa più di ogni altra cosa; ma invito chi legge a farsi partecipe del progetto e desiderio di Dio, e far si che tramite la loro semplice testimonianza anche altri possano conoscerlo. [11]
1. Vangelo di Giovanni 8; 58
2. Seconda epistola di Pietro 1; 4
3. Seconda epistola ai Corinzi 4; 18
4. Apocalisse 19; 10
5. Vangelo di Giovanni 3; 6,7
6. Vangelo di Giovanni 1; 29
7. Vangelo di Matteo 6; 10
8. Vangelo di Matteo 5; 17
9. Prima epistola di Giovanni 3; 2
10. Apocalisse 22; 2
11. Epistola agli Ebrei 8; 11
martedì 28 settembre 2010
Appendice - Errori nella Bibbia?
L’intento di questo metodo di studio è di valorizzare la Bibbia e renderla più accessibile e comprensibile, ma prevedo che in alcuni potrebbe suscitare qualche perplessità. Mi riferisco in particolare a chi aderisce all’interpretazione teologica del “Bible inerrabilty” che significa “Bibbia senza errori”. Il termine più accurato è quello inglese perché si differisce dal concetto dell’infallibilità biblica comune in quasi tutte le chiese riformate. Il concetto dell’“inerrabilty” è invece una particolarità più specifica delle chiese evangeliche d’America e dei paesi anglofoni. Nel suo contesto teologico l’”inerrability” è indicativo di un’applicazione più estrema dell’“infallibility”. Questa differenza fra l’“infallibility” e l’“inerrability” non sembra avere avuto eco in Italia e così, che io sappia, non esiste ancora una traduzione separata delle due parole, che ancora si traducono in “infallibilità”.
Il dogma dell'infallibilità
In ogni modo, nell’interpretazione dell’”inerrabilty”, ogni singola parola del testo Biblico è percepita come assoluto verbo di Dio, perfetto e privo di errori o influenze umane (meno che nel caso di qualche traduzione moderna). Non vi sarebbero differenze fra una frase di Salomone e una di Paolo, e Paolo o si accetta in tutto o in niente, perciò certe differenziazioni che abbiamo fatto sugli aspetti umani di Paolo, o sugli elementi superati dell’Antico Testamento, potrebbero essere causa di apprensione. In quest’ottica, mettere in discussione una sola parola della Bibbia equivarrebbe a metterla tutta in dubbio. Non si guarda a quel filo conduttore che attraversa il testo biblico, ma il testo stesso è dogma, legge divina scolpita nella roccia e tradizione inviolabile. Qualsiasi allontanamento da questo è automaticamente percepito come eresia, il che rende molti proponitori di questa credenza intransigenti nei confronti di altri cristiani, della diversità e dell’ecumenismo in generale.
Paura del relativismo
A mio avviso si tratta di un ragionamento circolare e lo dimostra l’interminabile faida fra gli stessi proponitori della teoria. Raramente, infatti, si trovano d’accordo sull’interpretazione degli stessi brani di scrittura. Il fatto che esistano fra loro così tante idee diverse, farebbe pensare a un’apertura ed elasticità maggiore, ma non è il caso. Quel che più li frena dall’esplorare idee alternative, è la paura di perdere dei riferimenti precisi e non sapere più di cosa fidarsi. Senza il dogma dell'"inerrability" temono di cadere nel relativismo e non riuscire più a riconoscere le parole di Dio.
Il Logos, la Scrittura e la Predicazione
Su questo direi che Gesù è la Parola “vivente” di Dio, il Logos, e che la Bibbia è il libro che lo racconta ed esprime per iscritto. Come tale si definisce Parola di Dio, come lo era anche la tradizione orale prima che fosse scritta (i primi cristiani avevano solo quella), e come tale può essere oggi anche la predicazione orale del vangelo. Ma fra tutte queste espressioni e la loro origine nel logos di Dio, esistono vari livelli di purezza e qualità. Essendo Cristo ben più ampio dei metodi di comunicazione umana, sia orale, sia scritta, è ovvio che a questi non si possa mai attribuire la perfezione e il culto che, a Lui solo, è dovuto.
Il teologo svizzero Emil Brunner, diede un’illustrazione brillante di questo concetto. Ci chiese di pensare a uno dei vecchi grammofoni che erano comuni ai suoi tempi. La voce che sentiamo, disse, è quella che vogliamo sentire, è la vera voce dell’artista che ci piace, ma la sentiamo attraverso l’inevitabile distorsione del disco. Ugualmente noi sentiamo l’autentica voce di Dio che ci parla attraverso le pagine della Bibbia, e sappiamo che è la voce di Dio per via del messaggio e della reazione che questa evoca nel nostro spirito. Cionondimeno, disse Brunner, sentiamo anche i rumori della macchina e dell’ago sulla superficie dura del disco, che non sono la voce del maestro. La verità di Dio non è sminuita dal fatto che la Sua voce sia registrata da esseri umani che hanno fatto del loro meglio per farcela pervenire, ma c’è differenza fra il rumore della macchina e il messaggio del Maestro. Identificare, quindi, gli aspetti umani di un apostolo, o di qualsiasi altro uomo di Dio, non interferisce con il messaggio di Dio ma lo rende più chiaro.
Gesù, parlando ai religiosi che conoscevano la scrittura a memoria, spiegò lo stesso concetto con queste parole: “Il Padre che mi ha mandato, egli stesso ha reso testimonianza di me. La sua voce, voi non l'avete mai udita; il suo volto, non l'avete mai visto; e la sua parola non dimora in voi, perché non credete in colui che egli ha mandato. Voi investigate le Scritture, perché pensate d'aver per mezzo di esse vita eterna, ed esse son quelle che rendono testimonianza di me; eppure non volete venire a me per aver la vita! [1]
E’ quel “venire a me” che spiega tutto. Molti affrontano la scrittura, la leggono, ricercano e scrivono tanto su di essa, ma non vengono a Lui. La scrittura da testimonianza di Lui, ma Lui è ovviamente più che la sola scrittura.
Un’altra analogia è quella della finestra tramite la quale vediamo Gesù. Quella finestra è la parola scritta della Bibbia. Leggendola vediamo Lui che sta fuori dalla porta e desidera entrare. Se apriamo la porta del nostro cuore Lui entra e lo conosceremo in spirito e verità. Se ci accontentiamo di vederlo solo dalla finestra e non apriamo la porta, la finestra sarà tutto quello che avremo di Gesù. L’immagine potrebbe anche essere chiara, ma non avremo mai modo di utilizzare gli altri sensi per scoprirlo appieno e avviare un rapporto completo. Inoltre, vedendolo solo dalla finestra, si potrebbe anche confondere macchie nel vetro o altre caratteristiche della finestra, con attributi di Gesù stesso. Aprire la porta è determinante.
I cicli delle istituzioni cristiane
Ho spesso sentito critiche su come gli ortodossi si sono sviati nel culto delle icone o i cattolici in quello di Maria o dell’eucarestia. Si accusa costoro di prendere quelli che dovevano essere simboli e immagini del Divino e di offrire loro il culto come a idoli. Ma ugualmente, usando l’illustrazione di Brunner, chi ha preso il disco dal grammofono e ha costruito un altare su cui riporlo e adorarlo, ha fatto la stessa cosa. Chi prende la Sacra Bibbia e le attribuisce ciò che va conferito solo a Dio, come perfezione e infallibilità, ha scambiato la creatura per il creatore allo stesso modo in cui alcuni fanno con luoghi sacri, reliquie e icone.
Sembra essere nell’indole umana prendere quello che Dio ci concede e, inevitabilmente, rivolgergli il nostro culto, dimenticandoci del donatore. Questa nostra proclività umana, che si voglia o no, si manifesta in qualsiasi forma di cristianesimo si adotti. Coloro che la riconoscono nel cristianesimo altrui e ne creano uno nuovo, finiscono poi per ricostruirla nel loro cristianesimo, sebbene in maniera più sottile, ma solo finché qualcuno la riconosce e crea, a sua volta, un altro nuovo cristianesimo, e la storia si ripete.
Nel mio metodo ho cercato di separare quegli elementi umani della scrittura e della religione, e aiutare il lettore a individuare il Dio vivente che, sebbene assai più ampio, è purché visibile attraverso la Bibbia. So che il mio è un debole e fallibile tentativo, ma spero e prego che da questo il lettore possa trarre spunto per andare oltre.
Un fondamento imprescindibile
Ribadisco che la Bibbia rimane sotto ogni aspetto un fondamento imprescindibile. Chiunque prenda quegli elementi umani degli scrittori Biblici come scusa per trascurarne l’importanza, commette un grave errore e si priva di un inestimabile dono. Spero che il lettore ne prenda lo studio a cuore e perseveri nel cercare attraverso essa la conoscenza più approfondita del suo autore.
1. Vangelo di Giovanni 5; 37 a 40
Il dogma dell'infallibilità
In ogni modo, nell’interpretazione dell’”inerrabilty”, ogni singola parola del testo Biblico è percepita come assoluto verbo di Dio, perfetto e privo di errori o influenze umane (meno che nel caso di qualche traduzione moderna). Non vi sarebbero differenze fra una frase di Salomone e una di Paolo, e Paolo o si accetta in tutto o in niente, perciò certe differenziazioni che abbiamo fatto sugli aspetti umani di Paolo, o sugli elementi superati dell’Antico Testamento, potrebbero essere causa di apprensione. In quest’ottica, mettere in discussione una sola parola della Bibbia equivarrebbe a metterla tutta in dubbio. Non si guarda a quel filo conduttore che attraversa il testo biblico, ma il testo stesso è dogma, legge divina scolpita nella roccia e tradizione inviolabile. Qualsiasi allontanamento da questo è automaticamente percepito come eresia, il che rende molti proponitori di questa credenza intransigenti nei confronti di altri cristiani, della diversità e dell’ecumenismo in generale.
Paura del relativismo
A mio avviso si tratta di un ragionamento circolare e lo dimostra l’interminabile faida fra gli stessi proponitori della teoria. Raramente, infatti, si trovano d’accordo sull’interpretazione degli stessi brani di scrittura. Il fatto che esistano fra loro così tante idee diverse, farebbe pensare a un’apertura ed elasticità maggiore, ma non è il caso. Quel che più li frena dall’esplorare idee alternative, è la paura di perdere dei riferimenti precisi e non sapere più di cosa fidarsi. Senza il dogma dell'"inerrability" temono di cadere nel relativismo e non riuscire più a riconoscere le parole di Dio.
Il Logos, la Scrittura e la Predicazione
Su questo direi che Gesù è la Parola “vivente” di Dio, il Logos, e che la Bibbia è il libro che lo racconta ed esprime per iscritto. Come tale si definisce Parola di Dio, come lo era anche la tradizione orale prima che fosse scritta (i primi cristiani avevano solo quella), e come tale può essere oggi anche la predicazione orale del vangelo. Ma fra tutte queste espressioni e la loro origine nel logos di Dio, esistono vari livelli di purezza e qualità. Essendo Cristo ben più ampio dei metodi di comunicazione umana, sia orale, sia scritta, è ovvio che a questi non si possa mai attribuire la perfezione e il culto che, a Lui solo, è dovuto.
Il teologo svizzero Emil Brunner, diede un’illustrazione brillante di questo concetto. Ci chiese di pensare a uno dei vecchi grammofoni che erano comuni ai suoi tempi. La voce che sentiamo, disse, è quella che vogliamo sentire, è la vera voce dell’artista che ci piace, ma la sentiamo attraverso l’inevitabile distorsione del disco. Ugualmente noi sentiamo l’autentica voce di Dio che ci parla attraverso le pagine della Bibbia, e sappiamo che è la voce di Dio per via del messaggio e della reazione che questa evoca nel nostro spirito. Cionondimeno, disse Brunner, sentiamo anche i rumori della macchina e dell’ago sulla superficie dura del disco, che non sono la voce del maestro. La verità di Dio non è sminuita dal fatto che la Sua voce sia registrata da esseri umani che hanno fatto del loro meglio per farcela pervenire, ma c’è differenza fra il rumore della macchina e il messaggio del Maestro. Identificare, quindi, gli aspetti umani di un apostolo, o di qualsiasi altro uomo di Dio, non interferisce con il messaggio di Dio ma lo rende più chiaro.
Gesù, parlando ai religiosi che conoscevano la scrittura a memoria, spiegò lo stesso concetto con queste parole: “Il Padre che mi ha mandato, egli stesso ha reso testimonianza di me. La sua voce, voi non l'avete mai udita; il suo volto, non l'avete mai visto; e la sua parola non dimora in voi, perché non credete in colui che egli ha mandato. Voi investigate le Scritture, perché pensate d'aver per mezzo di esse vita eterna, ed esse son quelle che rendono testimonianza di me; eppure non volete venire a me per aver la vita! [1]
E’ quel “venire a me” che spiega tutto. Molti affrontano la scrittura, la leggono, ricercano e scrivono tanto su di essa, ma non vengono a Lui. La scrittura da testimonianza di Lui, ma Lui è ovviamente più che la sola scrittura.
Un’altra analogia è quella della finestra tramite la quale vediamo Gesù. Quella finestra è la parola scritta della Bibbia. Leggendola vediamo Lui che sta fuori dalla porta e desidera entrare. Se apriamo la porta del nostro cuore Lui entra e lo conosceremo in spirito e verità. Se ci accontentiamo di vederlo solo dalla finestra e non apriamo la porta, la finestra sarà tutto quello che avremo di Gesù. L’immagine potrebbe anche essere chiara, ma non avremo mai modo di utilizzare gli altri sensi per scoprirlo appieno e avviare un rapporto completo. Inoltre, vedendolo solo dalla finestra, si potrebbe anche confondere macchie nel vetro o altre caratteristiche della finestra, con attributi di Gesù stesso. Aprire la porta è determinante.
I cicli delle istituzioni cristiane
Ho spesso sentito critiche su come gli ortodossi si sono sviati nel culto delle icone o i cattolici in quello di Maria o dell’eucarestia. Si accusa costoro di prendere quelli che dovevano essere simboli e immagini del Divino e di offrire loro il culto come a idoli. Ma ugualmente, usando l’illustrazione di Brunner, chi ha preso il disco dal grammofono e ha costruito un altare su cui riporlo e adorarlo, ha fatto la stessa cosa. Chi prende la Sacra Bibbia e le attribuisce ciò che va conferito solo a Dio, come perfezione e infallibilità, ha scambiato la creatura per il creatore allo stesso modo in cui alcuni fanno con luoghi sacri, reliquie e icone.
Sembra essere nell’indole umana prendere quello che Dio ci concede e, inevitabilmente, rivolgergli il nostro culto, dimenticandoci del donatore. Questa nostra proclività umana, che si voglia o no, si manifesta in qualsiasi forma di cristianesimo si adotti. Coloro che la riconoscono nel cristianesimo altrui e ne creano uno nuovo, finiscono poi per ricostruirla nel loro cristianesimo, sebbene in maniera più sottile, ma solo finché qualcuno la riconosce e crea, a sua volta, un altro nuovo cristianesimo, e la storia si ripete.
Nel mio metodo ho cercato di separare quegli elementi umani della scrittura e della religione, e aiutare il lettore a individuare il Dio vivente che, sebbene assai più ampio, è purché visibile attraverso la Bibbia. So che il mio è un debole e fallibile tentativo, ma spero e prego che da questo il lettore possa trarre spunto per andare oltre.
Un fondamento imprescindibile
Ribadisco che la Bibbia rimane sotto ogni aspetto un fondamento imprescindibile. Chiunque prenda quegli elementi umani degli scrittori Biblici come scusa per trascurarne l’importanza, commette un grave errore e si priva di un inestimabile dono. Spero che il lettore ne prenda lo studio a cuore e perseveri nel cercare attraverso essa la conoscenza più approfondita del suo autore.
1. Vangelo di Giovanni 5; 37 a 40
Appendice - Amore o timore?
Sebbene incorra il rischio di essere ripetitivo, c’è un elemento importante del cambiamento fra l’Antico e il Nuovo testamento che merita particolare attenzione. Si tratta dell’elemento timore, o paura. Nell’Antico Testamento si trovano dozzine di brani che indicano un Dio da temere e il timore di Dio come elemento fondamentale per evitare il male. Basta considerare questi brani dai proverbi di Salomone: “Il timore del Signore è il principio della conoscenza - Il principio della saggezza è il timore del Signore - Il timore del Signore è fonte di vita e fa evitare le insidie della morte” [1].
Nel nuovo testamento troviamo invece un approccio diverso, in cui prevale notevolmente l’invito a corrispondere a un Dio d’amore con amore. Eccone un esempio: “Noi abbiamo conosciuto l'amore che Dio ha per noi … Dio è amore; e chi rimane nell'amore, rimane in Dio e Dio rimane in lui … Nell'amore non c'è paura; anzi, l'amore perfetto caccia via la paura, perché chi ha paura teme un castigo. Quindi, chi ha paura non è perfetto nell'amore. Noi lo amiamo perché egli ci ha amati per primo … Da questo abbiamo conosciuto l'amore: egli ha dato la sua vita per noi” [2].
I comandamenti e la paura
Si tratta di una netta differenza, radicata nelle ragioni del cambiamento dall’Antico al Nuovo Testamento. Come abbiamo visto, nell’Antico Dio guidava tramite dei simboli e illustrazioni di cose spirituali non ancora manifeste. Allo stesso tempo tratteneva il suo popolo dalla malvagità tramite leggi ferree con conseguenze gravi per chi le infrangeva. La paura della pena di morte, per esempio, era un forte deterrente. Ugualmente abbiamo visto che l’uomo non conosceva Dio e perciò non lo poteva amare direttamente. Lo Spirito di Dio, per esempio, era un dono riversato solo sui re e i profeti. Il timore di Dio non era altro che timore dei suoi castighi e faceva si che molti temessero disubbidirlo. Era il metodo di controllo di un popolo che lo conosceva indirettamente tramite sacrifici animali e rigide leggi. Un rapporto distante che poi cambiò con la venuta di Gesù.
La libertà e l'amore
In Cristo il rapporto con Dio è equiparato a un matrimonio e il credente entra in una relazione diretta e intima che lo rende non più estraneo ma parte della famiglia di Dio. “Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio.” [3] “… sono giunte le nozze dell'Agnello e la sua sposa si è preparata.” [4] Questo è il rapporto che Gesù cerca con noi, amici, fratelli e infine sposa.
Ma il rapporto iniziò con un’infanzia, dove il bambino non era in grado di rispondere a ragionamenti da adulto. Aveva bisogno di regole e di temere e rispettare i genitori, ma poi crebbe, diventò adulto ed era ora di sposarsi. “Io ti passai accanto, ti guardai, ed ecco, il tuo tempo era giunto: il tempo degli amori … ti feci un giuramento, entrai in un patto con te, dice DIO, il Signore, e tu fosti mia [5]. Dio aspetta che maturiamo per entrare in un rapporto di amore con noi, diverso da quello di un genitore. “Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diverranno una carne sola. Questo mistero è grande e lo dico riguardo a Cristo e alla chiesa [6]. “finché l'erede è minorenne … è sotto tutori e amministratori fino al tempo prestabilito dal padre. Così anche noi, quando eravamo bambini, eravamo tenuti in schiavitù … ma quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l'adozione” [7].
E’ chiaro che chi non è entrato in un rapporto vivo e personale con Gesù non è neppure entrato nella libertà che Lui offre “… dove c'è lo Spirito del Signore, lì c'è libertà.” [8]. E anche il cristiano che conosce lo Spirito del Signore, non sempre gestisce bene la sua libertà. Per questo Paolo scrisse “fratelli, voi siete stati chiamati a libertà; soltanto non fate della libertà un'occasione per vivere secondo la carne, ma per mezzo dell'amore servite gli uni agli altri” [9]. Perché, allora, Dio ci libera dalla legge, dalle costrizioni e specialmente dalla paura, se sa che a volte saremo immaturi e abuseremo della nostra libertà? Dio ci libera perché cerca un rapporto più profondo con noi, che viene solo dall’amore spontaneo, e non dalla paura.
Religiosi per timore
La paura ci rende religiosi, ma per motivi egoistici. La paura ci rende superstiziosi - ci fa pensare che attraverso certe azioni possiamo scongiurare la sventura, o comprare l’aiuto di Dio. La paura ci spinge verso di Lui, ma solo per quello che vogliamo da lui. La paura ci rende incapaci di amare, ci fa implodere in noi stessi e ci rende egocentrici. La paura non è da Dio, e sebbene appare che Dio l’abbia richiesta in tempi antichi, ora ci chiede di sostituirla con la fede e l’amore.
Potere tramite la paura
Purtroppo, in campo religioso, la paura è anche uno strumento che l’uomo usa per prevalere sugli altri. Gli psicologi hanno spesso diagnosticato varie forme di psicosi indotte da insegnamenti religiosi che alimentavano ansie e fobie. Molti religiosi hanno predicato il Vecchio Testamento invece del Nuovo e usato la paura come strumento di controllo dei fedeli. Hanno predicato la paura dell’inferno e dei giudizi di Dio più che l’amore di Dio. Altri, addirittura, hanno approfittato della malattia, debolezza psichica e vulnerabilità di alcuni per assoggettarli a sé e crearsi un seguito. Altri ancora hanno usato la paura e i sensi di colpa per estorcere denaro. A livello istituzionale il modo più esteso in cui la paura è usata è per trattenere i fedeli dal migrare verso altre chiese. La maggior parte delle istituzioni cristiane rivendica un monopolio su Dio e reclamano il diritto di elargire o no la Sua misericordia. Con un’elaborata teologia inducono nei fedeli la paura di perdere l’unica possibilità di salvezza, che affermano di avere solo loro. C’è chi attribuisce questi metodi al fenomeno delle sette moderne, ma non è così. E’ un metodo antichissimo che purtroppo funziona e da potere a chi lo usa, i quali non lo cedono volentieri.
Il rispetto e l'invito di Gesù
Questi erano solo alcuni esempi di come la paura è usata nella religione per l’interesse umano e contro lo spirito di Cristo. Gesù non utilizzò mai la paura per ottenere o mantenere seguaci. Il suo è sempre e solo un invito d’amore “Se uno vuol venire dietro a me … “ [10], “Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui” [11]. Non ci sono forzature con Gesù. Lui non ci spaventa a seguirlo. E’ un vero gentiluomo e insegnò “ Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero" [12].
Il giogo di Gesù quindi non è quello opprimente dell’ansia e del timore. Gesù ce ne ha liberati col suo sacrificio d’amore sulla croce. Entriamo nella sua gioia e libertà e non lasciamo che nessuno, nemmeno noi stessi, ci ponga di nuovo sotto il giogo dell’ansia e della paura.
1. Proverbi 1; 7, 9; 10 e 14: 27
2. 1 Giovanni 4; 16 a 19 e 1Giovanni 3; 16
3. Vangelo di Giovanni 15; 15
4. Apocalisse 19; 7
5. Ezechiele 16; 8
6. Efesini 5; 31,32
7. Galati 4; 1 a 5
8. 2 Corinzi 3; 17
9. Galati 5; 13
10. Marco 8; 34
11. Apocalisse 3; 20
12. Matteo 11; 28 a 30
Nel nuovo testamento troviamo invece un approccio diverso, in cui prevale notevolmente l’invito a corrispondere a un Dio d’amore con amore. Eccone un esempio: “Noi abbiamo conosciuto l'amore che Dio ha per noi … Dio è amore; e chi rimane nell'amore, rimane in Dio e Dio rimane in lui … Nell'amore non c'è paura; anzi, l'amore perfetto caccia via la paura, perché chi ha paura teme un castigo. Quindi, chi ha paura non è perfetto nell'amore. Noi lo amiamo perché egli ci ha amati per primo … Da questo abbiamo conosciuto l'amore: egli ha dato la sua vita per noi” [2].
I comandamenti e la paura
Si tratta di una netta differenza, radicata nelle ragioni del cambiamento dall’Antico al Nuovo Testamento. Come abbiamo visto, nell’Antico Dio guidava tramite dei simboli e illustrazioni di cose spirituali non ancora manifeste. Allo stesso tempo tratteneva il suo popolo dalla malvagità tramite leggi ferree con conseguenze gravi per chi le infrangeva. La paura della pena di morte, per esempio, era un forte deterrente. Ugualmente abbiamo visto che l’uomo non conosceva Dio e perciò non lo poteva amare direttamente. Lo Spirito di Dio, per esempio, era un dono riversato solo sui re e i profeti. Il timore di Dio non era altro che timore dei suoi castighi e faceva si che molti temessero disubbidirlo. Era il metodo di controllo di un popolo che lo conosceva indirettamente tramite sacrifici animali e rigide leggi. Un rapporto distante che poi cambiò con la venuta di Gesù.
La libertà e l'amore
In Cristo il rapporto con Dio è equiparato a un matrimonio e il credente entra in una relazione diretta e intima che lo rende non più estraneo ma parte della famiglia di Dio. “Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio.” [3] “… sono giunte le nozze dell'Agnello e la sua sposa si è preparata.” [4] Questo è il rapporto che Gesù cerca con noi, amici, fratelli e infine sposa.
Ma il rapporto iniziò con un’infanzia, dove il bambino non era in grado di rispondere a ragionamenti da adulto. Aveva bisogno di regole e di temere e rispettare i genitori, ma poi crebbe, diventò adulto ed era ora di sposarsi. “Io ti passai accanto, ti guardai, ed ecco, il tuo tempo era giunto: il tempo degli amori … ti feci un giuramento, entrai in un patto con te, dice DIO, il Signore, e tu fosti mia [5]. Dio aspetta che maturiamo per entrare in un rapporto di amore con noi, diverso da quello di un genitore. “Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diverranno una carne sola. Questo mistero è grande e lo dico riguardo a Cristo e alla chiesa [6]. “finché l'erede è minorenne … è sotto tutori e amministratori fino al tempo prestabilito dal padre. Così anche noi, quando eravamo bambini, eravamo tenuti in schiavitù … ma quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l'adozione” [7].
E’ chiaro che chi non è entrato in un rapporto vivo e personale con Gesù non è neppure entrato nella libertà che Lui offre “… dove c'è lo Spirito del Signore, lì c'è libertà.” [8]. E anche il cristiano che conosce lo Spirito del Signore, non sempre gestisce bene la sua libertà. Per questo Paolo scrisse “fratelli, voi siete stati chiamati a libertà; soltanto non fate della libertà un'occasione per vivere secondo la carne, ma per mezzo dell'amore servite gli uni agli altri” [9]. Perché, allora, Dio ci libera dalla legge, dalle costrizioni e specialmente dalla paura, se sa che a volte saremo immaturi e abuseremo della nostra libertà? Dio ci libera perché cerca un rapporto più profondo con noi, che viene solo dall’amore spontaneo, e non dalla paura.
Religiosi per timore
La paura ci rende religiosi, ma per motivi egoistici. La paura ci rende superstiziosi - ci fa pensare che attraverso certe azioni possiamo scongiurare la sventura, o comprare l’aiuto di Dio. La paura ci spinge verso di Lui, ma solo per quello che vogliamo da lui. La paura ci rende incapaci di amare, ci fa implodere in noi stessi e ci rende egocentrici. La paura non è da Dio, e sebbene appare che Dio l’abbia richiesta in tempi antichi, ora ci chiede di sostituirla con la fede e l’amore.
Potere tramite la paura
Purtroppo, in campo religioso, la paura è anche uno strumento che l’uomo usa per prevalere sugli altri. Gli psicologi hanno spesso diagnosticato varie forme di psicosi indotte da insegnamenti religiosi che alimentavano ansie e fobie. Molti religiosi hanno predicato il Vecchio Testamento invece del Nuovo e usato la paura come strumento di controllo dei fedeli. Hanno predicato la paura dell’inferno e dei giudizi di Dio più che l’amore di Dio. Altri, addirittura, hanno approfittato della malattia, debolezza psichica e vulnerabilità di alcuni per assoggettarli a sé e crearsi un seguito. Altri ancora hanno usato la paura e i sensi di colpa per estorcere denaro. A livello istituzionale il modo più esteso in cui la paura è usata è per trattenere i fedeli dal migrare verso altre chiese. La maggior parte delle istituzioni cristiane rivendica un monopolio su Dio e reclamano il diritto di elargire o no la Sua misericordia. Con un’elaborata teologia inducono nei fedeli la paura di perdere l’unica possibilità di salvezza, che affermano di avere solo loro. C’è chi attribuisce questi metodi al fenomeno delle sette moderne, ma non è così. E’ un metodo antichissimo che purtroppo funziona e da potere a chi lo usa, i quali non lo cedono volentieri.
Il rispetto e l'invito di Gesù
Questi erano solo alcuni esempi di come la paura è usata nella religione per l’interesse umano e contro lo spirito di Cristo. Gesù non utilizzò mai la paura per ottenere o mantenere seguaci. Il suo è sempre e solo un invito d’amore “Se uno vuol venire dietro a me … “ [10], “Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui” [11]. Non ci sono forzature con Gesù. Lui non ci spaventa a seguirlo. E’ un vero gentiluomo e insegnò “ Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero" [12].
Il giogo di Gesù quindi non è quello opprimente dell’ansia e del timore. Gesù ce ne ha liberati col suo sacrificio d’amore sulla croce. Entriamo nella sua gioia e libertà e non lasciamo che nessuno, nemmeno noi stessi, ci ponga di nuovo sotto il giogo dell’ansia e della paura.
1. Proverbi 1; 7, 9; 10 e 14: 27
2. 1 Giovanni 4; 16 a 19 e 1Giovanni 3; 16
3. Vangelo di Giovanni 15; 15
4. Apocalisse 19; 7
5. Ezechiele 16; 8
6. Efesini 5; 31,32
7. Galati 4; 1 a 5
8. 2 Corinzi 3; 17
9. Galati 5; 13
10. Marco 8; 34
11. Apocalisse 3; 20
12. Matteo 11; 28 a 30
V Parte
L’Antico Testamento
L’Antico Testamento, detto anche Vecchio Testamento o Antico Patto, fu scritto da vari autori in un periodo che va dal 1200 a.C. al 200 a.C. circa. Nei primi cinque libri, detti Torah, Pentateuco, o libri di Mosè, è narrata la nascita dell’umanità, la sua infanzia e il suo avviarsi verso la maturità. In questi è contenuta anche la legge, o comandamenti, e perciò sono i più centrali dell’intero Antico Testamento. E’ a questi cinque libri che Gesù, Paolo e gli apostoli si riferivano quando parlavano della “legge”. Erano i più centrali all’ordinamento sociale Ebraico. Dopo di questi seguono altri libri storici, poi poetici e infine quelli profetici.
Conoscere il passato è essenziale per capire dove ci troviamo oggi e sapere in che direzione ci stiamo muovendo. Senza riferimenti storici rischiamo di perderci, fermarci o addirittura retrocedere. Ecco il valore di conoscere anche l’Antico Testamento, che invito tutti a studiare, seppure con qualche premessa.
Due testamenti, ma lo stesso Dio
La parola “testamento” denota una sorta di contratto fra Dio e l’uomo. Per ragioni che abbiamo in parte già studiato e che ora approfondiremo, Dio sostituì il vecchio contratto col nuovo. La diversità fra questi due contratti è palese e ci porta quasi a due immagini diverse di Dio, ma non è il caso. Si tratta dello stesso Dio, lo stesso padrone di casa, si potrebbe dire, ma è il contratto che è cambiato e questo determina un rapporto diverso. Anzi, chi ha accettato il sacrificio di Cristo, non è più neanche sotto contratto, ma ha sposato (una forma di contratto) il proprietario ed è diventato erede. Questa metafora non è mia, ma dell’apostolo Paolo, che la usò proprio per descrivere il cambiamento di paradigma dall’Antico al Nuovo Testamento. Paolo dedicò molto inchiostro alle ragioni per cui il nuovo contratto, firmato nel sangue di Gesù, sostituì l’antico, ma ora vedremo le ragioni per cui Dio l’aveva stabilito.
L’inizio di tutto
Genesi è il primo libro della Bibbia e forse il più studiato. Si tratta di un racconto semplice e breve delle origini del mondo e della vita. C'è chi ne affronta la lettura in chiave simbolica e chi invece lo considera un resoconto storico. Questi due approcci diversi sono la causa di un acceso dibattito e non entro in merito perché esistono già tantissimi libri e siti web con materiale attinente. Consiglierei a chiunque voglia di approfondire senza pregiudizi. Avendo probabilmente già studiato Darwin, v’inviterei a familiarizzarvi anche con l’aspetto scientifico dell'intelligent design (disegno intelligente) e del creazionismo, in modo da poter fare una scelta più informata. In ogni modo, in questo studio introduttivo dell’Antico Testamento è necessario affrontare la genesi nella sua interpretazione classica.
Non mi addentrerò in tutti gli aspetti di quel magnifico libro ma voglio rilevarne alcuni che ritengo essenziali a una comprensione più ampia del disegno di Dio. Nella Genesi vediamo che Dio (il Suo Verbo) comunicava con l’uomo e la donna tramite una teofania, il che vuole dire che si manifestava in forma fisica, camminando e parlando con loro come un loro simile. Questo contatto diretto potrebbe dare l’idea che Adamo ed Eva erano avvantaggiati da una comprensione avanzata di Dio, ma non era il caso. Adamo ed Eva, pur essendo fisicamente adulti perché creati tali, erano altrimenti bambini e all’inizio di ogni conoscenza ed esperienza. Basta pensare a ciò che avvenne dopo il peccato, quando sentirono Dio avvicinarsi nel suo solito modo, camminando. Il racconto ci dice che ebbero paura e si nascosero. E’ comprensibile il timore per via della disobbedienza, ma il fatto che credessero di potersi nascondere da Lui, ci dice molto sugli elementi mancanti nella loro comprensione di Dio. Stessa cosa con Caino, che dopo avere ucciso il fratello, incontrò Dio e questi gli chiese dov’era Abele, al che Caino rispose "Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?" [1]. Sempre nella Genesi leggiamo che più tardi “si cominciò a invocare il nome del Signore” [2]. Da questi esempi deduciamo che inizialmente l’uomo aveva un’idea molto limitata e infantile di Dio. Solo gradualmente, nel tempo, cominciò a intuire che Dio era assai più grande che quella rappresentazione corporea (teofania) con cui si era finora incontrato. A un certo punto si rese perfino conto che si poteva invocarlo (pregare) per aiuto.
Un Agnello immolato
Per quanto limitata fosse quella prima percezione umana di Dio, il peccato aveva provocato un senso di distacco, di vulnerabilità e insufficienza, che spingeva poi l’uomo a cercare Dio. A sua volta Dio stendeva la sua mano verso di lui e aveva già provveduto una via di ritorno. Il sacrificio dell’agnello di Abele era la raffigurazione di quella via, di una mediazione conciliatoria fra l'uomo e Dio. Si trattava dell’uccisione di un animale innocente che Abele, ancora vegetariano, eseguì probabilmente contro coscienza e quasi certamente solo perché Dio l’aveva indicato. Quell’atto d’obbedienza irrazionale, in pura fede nella sofferenza di un altro per i suoi peccati, fu gradito a Dio e Abele ne ebbe il beneficio. Era ciò che gli permise di ricevere, tramite una recita, un dono di Dio non ancora manifesto nella dimensione terrena - qualcosa d'incomprensibile, che poteva ricevere solo per fede.
Caino, invece, ragionando col proprio senso di religiosità, dubitò il metodo e preferì dare la propria sofferenza a Dio. Offrì il suo sudore, il suo sacrificio, il frutto delle sue mani, invece del sangue di un agnello innocente, che per di più avrebbe dovuto ricevere dal fratello. Ritenne che la sua religione, che è la radice di ogni religione umana, fosse migliore di quella crudele di Abele. Purtroppo i risultati furono la prima persecuzione religiosa con risultante omicidio. Dall'ora in poi questa è stata la conseguenza naturale di ogni religione imperniata sulla presunzione umana, invece che sull'opera e grazia di Dio.
Iniziò così, come descritto nei primi capitoli della Bibbia, quell’avventuroso cammino dell’uomo verso la sua meta finale che, come descritto negli ultimi capitoli, è di rinascere, crescere a immagine di Dio e unirsi a Lui in amore.
Il bambino e la sua storia
Come nella sua infanzia l’uomo poteva percepire Dio solo indirettamente, tramite delle raffigurazioni; come il bambino impara le cose da adulto giocando con giochi che assomigliano alle cose vere, così Dio condusse l’uomo gradualmente verso la sua maturità attraverso delle similitudini. L’intero Antico Testamento è fatto d’illustrazioni storiche, rituali, di recite in cui le verità spirituali e profonde di Dio, erano illustrate con eventi, sacrifici, tabernacoli, templi, sacerdoti, profeti, candelabri, lavacri e feste solenni. Dio aveva bisogno d’illustrazioni, di marionette per così dire, al fine di comunicare con l’uomo nei limiti della sua comprensione.
Il simbolo di Gesù fin dall’inizio
Il primo atto di Dio dopo il peccato, fu un sacrificio animale per dare delle vesti di pelle all’uomo e alla donna. Il primo rito di mediazione fra uomo e Dio fu il sacrificio dell’agnello di Abele. Alcune traduzioni dell’Apocalisse fanno riferimento a Gesù come “agnello di Dio immolato fin dalla fondazione del mondo” [3]. A scapito di quale traduzione si usi, è ovvio che Dio aveva già in mente, fin dall’inizio, questo sacrificio per redimere e riportare l’uomo a se. Giovanni Battista, come vide Gesù, disse: “Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” [4] Gesù era fin dall’inizio quell’agnello immolato per ricoprire l'uomo e la donna di vita. Il sacrificio animale dell’antichità, non era che una piccola recita tramite la quale si rivendicava quel perdono e riconciliazione promessi da Dio, come nel caso di Abele.
Il timore di Dio e la legge
Tramite queste rappresentazioni l’uomo cercava Dio, ma era più per timore che per amore, e non ancora in spirito. Dio, ben sapendo che il suo cammino verso la maturità sarebbe stato arduo, vegliava su di lui, a volte aiutandolo e a volte trattenendolo con mano ferma. Il timore dei giudizi divini fungeva spesso da deterrente contro ogni sorta di male e sono questi castighi che a volte fanno apparire il Dio dell’Antico Testamento intollerante e crudele. La legge Mosaica, per esempio, era severissima e l’infrazione di molti comandamenti comportava la pena di morte.
L’apostolo Paolo disse “Perché dunque la legge? Essa fu aggiunta a causa delle trasgressioni, ” [5] quindi è ovvio che non fosse l’intento iniziale di Dio, il modo in cui voleva rapportarsi all’uomo. Paolo disse che la legge era come un sorvegliante, “Ma prima che venisse la fede eravamo tenuti rinchiusi sotto la custodia della legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. Così la legge è stata come un precettore per condurci a Cristo, affinché noi fossimo giustificati per fede” [6]. La severità della legge ebbe quindi una funzione temporanea nel piano di Dio, quella di custodire fino a che arrivasse la maturità in Cristo.
Nell’Antico Testamento, il timore di Dio e delle pesanti conseguenze per trasgressione alla sua legge, tratteneva dal male che la legge stessa definiva. La legge garantiva anche l’ordine sociale e stabiliva una certa rettitudine dell’individuo, sebbene solo esteriormente. Perché la legge agiva tramite imposizioni dall’esterno, non era in se sufficiente a rigenerare lo spirito dell’uomo. La legge era perciò solo un rimedio temporaneo e non ristabiliva l’intento originario di Dio.
Gesù riporta all’intento originario
Per questo Gesù offrì se stesso in sacrificio per noi, il che soddisfò appieno la giustizia richiesta dalla legge per i nostri peccati. La legge fu così adempiuta e il suo ciclo terminato. Amandoci fino alla morte, Gesù ci riscattò da ogni costrizione legalista e dalla religiosità esteriore, quella che controllava il comportamento solo dall’esterno e faceva perno sul timore di Dio e delle conseguenze per disubbidirgli. In Gesù la mano tesa di Dio afferrò quella dell'anima protratta a Lui, traendola a Se e causando una rinascita spirituale. Da quel momento subentrò un invito a un rapporto nuovo, libero e di amore con Lui. Questo era l’intento originario, fin dalla creazione, ma non era attuabile fino a che l’uomo non fosse maturato nel suo desiderio sincero di comunione spirituale con Dio [7]. E’ questo desiderio che porta eventualmente a riconoscere e accettare quell’invito di Dio a nuova nascita [8]. In quel momento, per quell'anima, la legge Mosaica scade. Il potere inibitorio della paura di Dio e dei suoi castighi, non è più lo strumento adatto ed è sostituito dal potere liberatorio dell’amore per Dio e gli altri. Per l'anima avviata in questo nuovo rapporto con Dio, il Vecchio Testamento è finito.
Sincretismi dai due Testamenti
A causa dell’ampia diversità fra i due testamenti e la difficoltà ad armonizzarli fra loro, alcuni movimenti cristiani del passato pensarono perfino di escludere l’Antico e tenere solo il Nuovo. In effetti, l’avere due Testamenti diversi nello stesso libro, crea un po’ di confusione, specialmente per chi è agli inizi del suo cammino di fede. Molti, infatti, ignari delle ragioni del cambiamento da Antico a Nuovo, attribuiscono ad ambedue lo stesso valore. Cadono così nell'errore più comune del cristianesimo, cioè utilizzare elementi da ambo i Testamenti per creare dei sincretismi. Il più noto è quello di mischiare i comandamenti di Mosè con gli insegnamenti di Gesù, come fece la Concisione Ebraica, che Paolo oppose ripetutamente nelle sue epistole. Ma come Paolo fece uso dell’Antico Testamento per presentare il suo caso a favore del Nuovo, anche noi ne abbiamo bisogno. E’ vero che l'Antico è passato, come un contratto scaduto, ma senza conoscerlo non si può apprezzare il nuovo né capirne il significato. Per questo fu incluso nel canone Biblico e non si può trascurarne lo studio.
Essere equilibrati nello studio
Premetto, però, che una lettura costante dell’Antico Testamento tende a causare degli scompensi. Per esempio, può portare verso una religiosità che dà più importanza alle regole e al ritualismo esteriore, invece che a un rapporto personale con Gesù e al vivere secondo i principi d’amore da lui insegnati. Oppure si può finire col giustificare la guerra, o il razzismo, cose che appaiono sanzionate nell’Antico Testamento. Non è raro, infatti, incontrare chi attribuisce lo stesso valore del vangelo all’Antico Testamento, ma cristiano vuole dire seguace di Cristo e Gesù non condonò la violenza, la vendetta e l’aggressione verso gli altri, anzi, insegnò esattamente l’opposto.
Considerazioni finali
Se il cristianesimo è nettamente e solamente il Nuovo Testamento, perché allora tenere e leggere il vecchio? Innanzitutto perché, come abbiamo visto, è lo stesso Dio e se possiamo approfondire e capire le ragioni del passato, capiremo inoltre le ragioni del presente e futuro. Capiremo perché il Nuovo abolì l’Antico e fu cambiata la legge del timore con la legge dell’amore, affinché non da bambini, che hanno bisogno di tutore, ma da adulti scegliessimo liberamente di unirci a Lui. Intravedremo inoltre la meta finale del programma di Dio.
Come nell’Antico Testamento l’uomo partecipava a una temporanea riconciliazione con Dio tramite il sacrificio dell’agnello. Come l’aspersione del suo sangue sulle porte li salvò dall’angelo della morte, così ora il sangue di Gesù ci salva dalla morte e ci riconduce a Dio. La differenza è che nell’Antico Testamento c’erano delle raffigurazioni, “un’ombra di beni futuri” [9], come li chiamò Paolo. Nel Nuovo Testamento, invece, Gesù è il sacrificio finale e originale, che rende le previe raffigurazioni obsolete.
Come la donna non gioca più con le bambole quando si sposa, concepisce e diventa madre, così anche il cristiano non gioca più alla religione delle raffigurazioni, dopo che ha incontrato lo sposo. L’antica religione ha cessato il suo scopo preparatorio e ha dato spazio alla vera vita con Dio.
La religiosità umana
Ancora oggi, nel suo stato naturale e prima d’intraprendere un rapporto maturo con Dio, l’uomo è in balia di varie immagini di Dio, proprio come la bambina che vede nelle bambole un’immagine della vita futura di madre. Incapace di operare una maturazione e avvicinarsi a Dio con le proprie forze, l’uomo rimane aggrappato a ciò che percepisce visibilmente come religioso. Anche il Nuovo Testamento può, in questa condizione, diventare Antico. Ci si può legare a degli aspetti pratici del nuovo e renderli ritualistici, o prendere certe ammonizioni Paoline e farne una nuova legge, giudicando chi Gesù ha detto di non giudicare. Insomma, si può essere nel Nuovo come pagina, ma nel Vecchio come spirito.
Come Caino, che non era irreligioso e volle sacrificare, ma pensò di trovare favore con Dio tramite il suo sforzo personale. Così anche nella legge di Mosè, in cui l’uomo vide l’occasione di rendersi perfetto con le proprie forze. Ma Dio l’aveva data per arginare l’iniquità e questa agiva solo esteriormente e forzatamente sul suo comportamento. Non poteva produrre una nuova vita dello spirito, come neanche la religione di per sé può, ma solo Dio.
Paolo disse perfino che la legge rafforzava e definiva il peccato “io non avrei conosciuto il peccato se non per mezzo della legge; poiché non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: "Non concupire" [10]. Nell’Antico Testamento i comandamenti definivano cos’era peccato e perciò ne rafforzavano la consapevolezza, ma la libertà dal peccato e la riconciliazione con Dio, erano invece legate al sacrificio animale. Questo comportava un atto di fede in qualcosa d’inspiegabile, invece di una laboriosa aderenza a una disciplina religiosa. Era antecedente alla legge, iniziò con Abele, continuò con Abramo, fu affermato da Mosè ed era sempre un’illustrazione del sacrificio di Cristo, di quel Nuovo Patto non ancora manifesto, ma che fu stabilito fin dall’inizio.
Fu lo stesso spirito Cainico degli uomini, alimentato dalla presunzione religiosa, cui la legge offriva un appiglio, che uccise l’agnello di Dio. Come la semplice fede di Abele umiliò Caino, Gesù umiliò il futile tentativo dei religiosi di salvarsi da soli tramite il loro legalismo religioso. L’uomo naturale adora la religiosità, e non Dio, perché la religiosità esalta la sua presunta bontà, rettitudine e santità. La religiosità è spesso il metodo con cui l’uomo cerca di rendersi spirituale con le proprie forze. Gesù è la fine della religiosità esteriore e l’inizio del ritorno a Dio in un rapporto vero e sincero, senza l’artificiosità della religiosità umana.
La religione Cainica degli uomini sparse il sangue del vero agnello di Dio, Gesù, adempiendo così il Suo progetto di redenzione. Il cerchio si chiuse nel giorno in cui l’uomo odiò Dio così tanto da volerlo uccidere e Dio amò l’uomo così tanto da morire per salvarlo. La massima malvagità contro l’infinito amore, e l’amore vinse. Il prezzo del nostro peccato fu pagato e la legge, che lo richiedeva, fu adempiuta e superata. Ora, tramite Gesù, ogni uomo che lo desideri può essere perdonato e pienamente accolto in Dio.
Il filo conduttore
Qualcuno potrebbe obbiettare che in questa parte dedicata all’antico testamento, abbiamo parlato di tutt'altro che del materiale in esso contenuto. Come negli altri casi ripeto che lo scopo di queste pagine introduttive non va inteso come riassunto dei contenuti, che vanno invece studiati direttamente sulla Bibbia. Il mio intento era sempre quello di dare delle chiavi interpretative per rendere più facile e comprensivo lo studio. Un altro mio intento, specialmente nel caso dell’antico testamento, era quello di mostrare quell’unico filo conduttore che passa dalla Genesi all’Apocalisse, e oltre. Gesù è quel filo conduttore, l’inizio [Nel principio era la Parola] [11], il cuore [la parola fu fatta carne] [12], e la fine della Bibbia [Io sono l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, il principio e la fine] [13]. Lo vediamo nel giardino dell’eden, poi con Abramo, con Mosè, nella fornace con i tre amici di Daniele, nella mangiatoia, sulla croce, e un giorno lo vedremo nel suo ritorno nelle nuvole, e infine nelle meravigliose nozze dell’agnello.
La Bibbia, incluso l’Antico Testamento, è la più affascinate storia d’amore che esista. Un Dio d’amore crea altri da amare e con cui condividersi. Li pone in una dimensione temporanea, dove sa che si allontaneranno, ma che ultimamente torneranno a lui. Rimane nascosto, senza interferire nelle loro scelte e li guarda crescere. Li guarda fare scelte giuste e sbagliate, e sa che inevitabilmente questo li preparerà per il loro destino finale con Lui. In questo modo e in questa dimensione, gli uomini partecipano alla loro stessa creazione, decidendo la loro natura eterna con le loro scelte. Si autodeterminano, fino a che, come liberi esseri cercheranno Lui. E lui era sempre lì che li aspettava, corteggiava e preparava per un’eternità insieme, che va di là da ogni immaginazione. E’ la più grande avventura che esista e non c’è romanzo o saga che vi ci possa comparare, e il finale è estremamente lieto.
Qualcuno dirà, “ma non per chi va all’inferno”, ma c’è una risposta anche per questi e la serbiamo per uno studio futuro.
A questo punto vi augurerei una buona lettura dell’Antico Testamento, ma me ne guardo in quanto, considerata la lunghezza, per alcuni potrebbe sembrare piuttosto un mal-augurio. Penso che un approccio più ragionevole sarebbe quello di usare un segnalibro e leggere l’Antico Testamento pochi capitoli per volta. La prima parte, quella storica, è piena di avventure e storie accattivanti che creano una lettura piacevole, anche per quei momenti quando non si ha voglia di pensare troppo. I salmi sono ideali per quando vi sentite un po’ giù. I proverbi contengono saggezza che non scade mai. I profeti, invece, richiedono una buona conoscenza della storia li tratteremo nella prossima parte.
1. Genesi 4; 9
2. Genesi 4; 26
3. Apocalisse 13; 8
4. Vangelo di Giovanni 1; 29
5. Epistola di Paolo ai Galati 3; 19
6. Epistola di Paolo ai Galati 3; 23 e 24
7. Vangelo di Giovanni 4; 23
8. Vangelo di Giovanni 1; 12,13
9. Epistola agli Ebrei 10; 1
10. Epistola ai Romani 7; 7
11. Vangelo di Giovanni 1; 1
12. Vangelo di Giovanni 1; 14
13. Apocalisse 22; 13
L’Antico Testamento, detto anche Vecchio Testamento o Antico Patto, fu scritto da vari autori in un periodo che va dal 1200 a.C. al 200 a.C. circa. Nei primi cinque libri, detti Torah, Pentateuco, o libri di Mosè, è narrata la nascita dell’umanità, la sua infanzia e il suo avviarsi verso la maturità. In questi è contenuta anche la legge, o comandamenti, e perciò sono i più centrali dell’intero Antico Testamento. E’ a questi cinque libri che Gesù, Paolo e gli apostoli si riferivano quando parlavano della “legge”. Erano i più centrali all’ordinamento sociale Ebraico. Dopo di questi seguono altri libri storici, poi poetici e infine quelli profetici.
Conoscere il passato è essenziale per capire dove ci troviamo oggi e sapere in che direzione ci stiamo muovendo. Senza riferimenti storici rischiamo di perderci, fermarci o addirittura retrocedere. Ecco il valore di conoscere anche l’Antico Testamento, che invito tutti a studiare, seppure con qualche premessa.
Due testamenti, ma lo stesso Dio
La parola “testamento” denota una sorta di contratto fra Dio e l’uomo. Per ragioni che abbiamo in parte già studiato e che ora approfondiremo, Dio sostituì il vecchio contratto col nuovo. La diversità fra questi due contratti è palese e ci porta quasi a due immagini diverse di Dio, ma non è il caso. Si tratta dello stesso Dio, lo stesso padrone di casa, si potrebbe dire, ma è il contratto che è cambiato e questo determina un rapporto diverso. Anzi, chi ha accettato il sacrificio di Cristo, non è più neanche sotto contratto, ma ha sposato (una forma di contratto) il proprietario ed è diventato erede. Questa metafora non è mia, ma dell’apostolo Paolo, che la usò proprio per descrivere il cambiamento di paradigma dall’Antico al Nuovo Testamento. Paolo dedicò molto inchiostro alle ragioni per cui il nuovo contratto, firmato nel sangue di Gesù, sostituì l’antico, ma ora vedremo le ragioni per cui Dio l’aveva stabilito.
L’inizio di tutto
Genesi è il primo libro della Bibbia e forse il più studiato. Si tratta di un racconto semplice e breve delle origini del mondo e della vita. C'è chi ne affronta la lettura in chiave simbolica e chi invece lo considera un resoconto storico. Questi due approcci diversi sono la causa di un acceso dibattito e non entro in merito perché esistono già tantissimi libri e siti web con materiale attinente. Consiglierei a chiunque voglia di approfondire senza pregiudizi. Avendo probabilmente già studiato Darwin, v’inviterei a familiarizzarvi anche con l’aspetto scientifico dell'intelligent design (disegno intelligente) e del creazionismo, in modo da poter fare una scelta più informata. In ogni modo, in questo studio introduttivo dell’Antico Testamento è necessario affrontare la genesi nella sua interpretazione classica.
Non mi addentrerò in tutti gli aspetti di quel magnifico libro ma voglio rilevarne alcuni che ritengo essenziali a una comprensione più ampia del disegno di Dio. Nella Genesi vediamo che Dio (il Suo Verbo) comunicava con l’uomo e la donna tramite una teofania, il che vuole dire che si manifestava in forma fisica, camminando e parlando con loro come un loro simile. Questo contatto diretto potrebbe dare l’idea che Adamo ed Eva erano avvantaggiati da una comprensione avanzata di Dio, ma non era il caso. Adamo ed Eva, pur essendo fisicamente adulti perché creati tali, erano altrimenti bambini e all’inizio di ogni conoscenza ed esperienza. Basta pensare a ciò che avvenne dopo il peccato, quando sentirono Dio avvicinarsi nel suo solito modo, camminando. Il racconto ci dice che ebbero paura e si nascosero. E’ comprensibile il timore per via della disobbedienza, ma il fatto che credessero di potersi nascondere da Lui, ci dice molto sugli elementi mancanti nella loro comprensione di Dio. Stessa cosa con Caino, che dopo avere ucciso il fratello, incontrò Dio e questi gli chiese dov’era Abele, al che Caino rispose "Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?" [1]. Sempre nella Genesi leggiamo che più tardi “si cominciò a invocare il nome del Signore” [2]. Da questi esempi deduciamo che inizialmente l’uomo aveva un’idea molto limitata e infantile di Dio. Solo gradualmente, nel tempo, cominciò a intuire che Dio era assai più grande che quella rappresentazione corporea (teofania) con cui si era finora incontrato. A un certo punto si rese perfino conto che si poteva invocarlo (pregare) per aiuto.
Un Agnello immolato
Per quanto limitata fosse quella prima percezione umana di Dio, il peccato aveva provocato un senso di distacco, di vulnerabilità e insufficienza, che spingeva poi l’uomo a cercare Dio. A sua volta Dio stendeva la sua mano verso di lui e aveva già provveduto una via di ritorno. Il sacrificio dell’agnello di Abele era la raffigurazione di quella via, di una mediazione conciliatoria fra l'uomo e Dio. Si trattava dell’uccisione di un animale innocente che Abele, ancora vegetariano, eseguì probabilmente contro coscienza e quasi certamente solo perché Dio l’aveva indicato. Quell’atto d’obbedienza irrazionale, in pura fede nella sofferenza di un altro per i suoi peccati, fu gradito a Dio e Abele ne ebbe il beneficio. Era ciò che gli permise di ricevere, tramite una recita, un dono di Dio non ancora manifesto nella dimensione terrena - qualcosa d'incomprensibile, che poteva ricevere solo per fede.
Caino, invece, ragionando col proprio senso di religiosità, dubitò il metodo e preferì dare la propria sofferenza a Dio. Offrì il suo sudore, il suo sacrificio, il frutto delle sue mani, invece del sangue di un agnello innocente, che per di più avrebbe dovuto ricevere dal fratello. Ritenne che la sua religione, che è la radice di ogni religione umana, fosse migliore di quella crudele di Abele. Purtroppo i risultati furono la prima persecuzione religiosa con risultante omicidio. Dall'ora in poi questa è stata la conseguenza naturale di ogni religione imperniata sulla presunzione umana, invece che sull'opera e grazia di Dio.
Iniziò così, come descritto nei primi capitoli della Bibbia, quell’avventuroso cammino dell’uomo verso la sua meta finale che, come descritto negli ultimi capitoli, è di rinascere, crescere a immagine di Dio e unirsi a Lui in amore.
Il bambino e la sua storia
Come nella sua infanzia l’uomo poteva percepire Dio solo indirettamente, tramite delle raffigurazioni; come il bambino impara le cose da adulto giocando con giochi che assomigliano alle cose vere, così Dio condusse l’uomo gradualmente verso la sua maturità attraverso delle similitudini. L’intero Antico Testamento è fatto d’illustrazioni storiche, rituali, di recite in cui le verità spirituali e profonde di Dio, erano illustrate con eventi, sacrifici, tabernacoli, templi, sacerdoti, profeti, candelabri, lavacri e feste solenni. Dio aveva bisogno d’illustrazioni, di marionette per così dire, al fine di comunicare con l’uomo nei limiti della sua comprensione.
Il simbolo di Gesù fin dall’inizio
Il primo atto di Dio dopo il peccato, fu un sacrificio animale per dare delle vesti di pelle all’uomo e alla donna. Il primo rito di mediazione fra uomo e Dio fu il sacrificio dell’agnello di Abele. Alcune traduzioni dell’Apocalisse fanno riferimento a Gesù come “agnello di Dio immolato fin dalla fondazione del mondo” [3]. A scapito di quale traduzione si usi, è ovvio che Dio aveva già in mente, fin dall’inizio, questo sacrificio per redimere e riportare l’uomo a se. Giovanni Battista, come vide Gesù, disse: “Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” [4] Gesù era fin dall’inizio quell’agnello immolato per ricoprire l'uomo e la donna di vita. Il sacrificio animale dell’antichità, non era che una piccola recita tramite la quale si rivendicava quel perdono e riconciliazione promessi da Dio, come nel caso di Abele.
Il timore di Dio e la legge
Tramite queste rappresentazioni l’uomo cercava Dio, ma era più per timore che per amore, e non ancora in spirito. Dio, ben sapendo che il suo cammino verso la maturità sarebbe stato arduo, vegliava su di lui, a volte aiutandolo e a volte trattenendolo con mano ferma. Il timore dei giudizi divini fungeva spesso da deterrente contro ogni sorta di male e sono questi castighi che a volte fanno apparire il Dio dell’Antico Testamento intollerante e crudele. La legge Mosaica, per esempio, era severissima e l’infrazione di molti comandamenti comportava la pena di morte.
L’apostolo Paolo disse “Perché dunque la legge? Essa fu aggiunta a causa delle trasgressioni, ” [5] quindi è ovvio che non fosse l’intento iniziale di Dio, il modo in cui voleva rapportarsi all’uomo. Paolo disse che la legge era come un sorvegliante, “Ma prima che venisse la fede eravamo tenuti rinchiusi sotto la custodia della legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. Così la legge è stata come un precettore per condurci a Cristo, affinché noi fossimo giustificati per fede” [6]. La severità della legge ebbe quindi una funzione temporanea nel piano di Dio, quella di custodire fino a che arrivasse la maturità in Cristo.
Nell’Antico Testamento, il timore di Dio e delle pesanti conseguenze per trasgressione alla sua legge, tratteneva dal male che la legge stessa definiva. La legge garantiva anche l’ordine sociale e stabiliva una certa rettitudine dell’individuo, sebbene solo esteriormente. Perché la legge agiva tramite imposizioni dall’esterno, non era in se sufficiente a rigenerare lo spirito dell’uomo. La legge era perciò solo un rimedio temporaneo e non ristabiliva l’intento originario di Dio.
Gesù riporta all’intento originario
Per questo Gesù offrì se stesso in sacrificio per noi, il che soddisfò appieno la giustizia richiesta dalla legge per i nostri peccati. La legge fu così adempiuta e il suo ciclo terminato. Amandoci fino alla morte, Gesù ci riscattò da ogni costrizione legalista e dalla religiosità esteriore, quella che controllava il comportamento solo dall’esterno e faceva perno sul timore di Dio e delle conseguenze per disubbidirgli. In Gesù la mano tesa di Dio afferrò quella dell'anima protratta a Lui, traendola a Se e causando una rinascita spirituale. Da quel momento subentrò un invito a un rapporto nuovo, libero e di amore con Lui. Questo era l’intento originario, fin dalla creazione, ma non era attuabile fino a che l’uomo non fosse maturato nel suo desiderio sincero di comunione spirituale con Dio [7]. E’ questo desiderio che porta eventualmente a riconoscere e accettare quell’invito di Dio a nuova nascita [8]. In quel momento, per quell'anima, la legge Mosaica scade. Il potere inibitorio della paura di Dio e dei suoi castighi, non è più lo strumento adatto ed è sostituito dal potere liberatorio dell’amore per Dio e gli altri. Per l'anima avviata in questo nuovo rapporto con Dio, il Vecchio Testamento è finito.
Sincretismi dai due Testamenti
A causa dell’ampia diversità fra i due testamenti e la difficoltà ad armonizzarli fra loro, alcuni movimenti cristiani del passato pensarono perfino di escludere l’Antico e tenere solo il Nuovo. In effetti, l’avere due Testamenti diversi nello stesso libro, crea un po’ di confusione, specialmente per chi è agli inizi del suo cammino di fede. Molti, infatti, ignari delle ragioni del cambiamento da Antico a Nuovo, attribuiscono ad ambedue lo stesso valore. Cadono così nell'errore più comune del cristianesimo, cioè utilizzare elementi da ambo i Testamenti per creare dei sincretismi. Il più noto è quello di mischiare i comandamenti di Mosè con gli insegnamenti di Gesù, come fece la Concisione Ebraica, che Paolo oppose ripetutamente nelle sue epistole. Ma come Paolo fece uso dell’Antico Testamento per presentare il suo caso a favore del Nuovo, anche noi ne abbiamo bisogno. E’ vero che l'Antico è passato, come un contratto scaduto, ma senza conoscerlo non si può apprezzare il nuovo né capirne il significato. Per questo fu incluso nel canone Biblico e non si può trascurarne lo studio.
Essere equilibrati nello studio
Premetto, però, che una lettura costante dell’Antico Testamento tende a causare degli scompensi. Per esempio, può portare verso una religiosità che dà più importanza alle regole e al ritualismo esteriore, invece che a un rapporto personale con Gesù e al vivere secondo i principi d’amore da lui insegnati. Oppure si può finire col giustificare la guerra, o il razzismo, cose che appaiono sanzionate nell’Antico Testamento. Non è raro, infatti, incontrare chi attribuisce lo stesso valore del vangelo all’Antico Testamento, ma cristiano vuole dire seguace di Cristo e Gesù non condonò la violenza, la vendetta e l’aggressione verso gli altri, anzi, insegnò esattamente l’opposto.
Considerazioni finali
Se il cristianesimo è nettamente e solamente il Nuovo Testamento, perché allora tenere e leggere il vecchio? Innanzitutto perché, come abbiamo visto, è lo stesso Dio e se possiamo approfondire e capire le ragioni del passato, capiremo inoltre le ragioni del presente e futuro. Capiremo perché il Nuovo abolì l’Antico e fu cambiata la legge del timore con la legge dell’amore, affinché non da bambini, che hanno bisogno di tutore, ma da adulti scegliessimo liberamente di unirci a Lui. Intravedremo inoltre la meta finale del programma di Dio.
Come nell’Antico Testamento l’uomo partecipava a una temporanea riconciliazione con Dio tramite il sacrificio dell’agnello. Come l’aspersione del suo sangue sulle porte li salvò dall’angelo della morte, così ora il sangue di Gesù ci salva dalla morte e ci riconduce a Dio. La differenza è che nell’Antico Testamento c’erano delle raffigurazioni, “un’ombra di beni futuri” [9], come li chiamò Paolo. Nel Nuovo Testamento, invece, Gesù è il sacrificio finale e originale, che rende le previe raffigurazioni obsolete.
Come la donna non gioca più con le bambole quando si sposa, concepisce e diventa madre, così anche il cristiano non gioca più alla religione delle raffigurazioni, dopo che ha incontrato lo sposo. L’antica religione ha cessato il suo scopo preparatorio e ha dato spazio alla vera vita con Dio.
La religiosità umana
Ancora oggi, nel suo stato naturale e prima d’intraprendere un rapporto maturo con Dio, l’uomo è in balia di varie immagini di Dio, proprio come la bambina che vede nelle bambole un’immagine della vita futura di madre. Incapace di operare una maturazione e avvicinarsi a Dio con le proprie forze, l’uomo rimane aggrappato a ciò che percepisce visibilmente come religioso. Anche il Nuovo Testamento può, in questa condizione, diventare Antico. Ci si può legare a degli aspetti pratici del nuovo e renderli ritualistici, o prendere certe ammonizioni Paoline e farne una nuova legge, giudicando chi Gesù ha detto di non giudicare. Insomma, si può essere nel Nuovo come pagina, ma nel Vecchio come spirito.
Come Caino, che non era irreligioso e volle sacrificare, ma pensò di trovare favore con Dio tramite il suo sforzo personale. Così anche nella legge di Mosè, in cui l’uomo vide l’occasione di rendersi perfetto con le proprie forze. Ma Dio l’aveva data per arginare l’iniquità e questa agiva solo esteriormente e forzatamente sul suo comportamento. Non poteva produrre una nuova vita dello spirito, come neanche la religione di per sé può, ma solo Dio.
Paolo disse perfino che la legge rafforzava e definiva il peccato “io non avrei conosciuto il peccato se non per mezzo della legge; poiché non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: "Non concupire" [10]. Nell’Antico Testamento i comandamenti definivano cos’era peccato e perciò ne rafforzavano la consapevolezza, ma la libertà dal peccato e la riconciliazione con Dio, erano invece legate al sacrificio animale. Questo comportava un atto di fede in qualcosa d’inspiegabile, invece di una laboriosa aderenza a una disciplina religiosa. Era antecedente alla legge, iniziò con Abele, continuò con Abramo, fu affermato da Mosè ed era sempre un’illustrazione del sacrificio di Cristo, di quel Nuovo Patto non ancora manifesto, ma che fu stabilito fin dall’inizio.
Fu lo stesso spirito Cainico degli uomini, alimentato dalla presunzione religiosa, cui la legge offriva un appiglio, che uccise l’agnello di Dio. Come la semplice fede di Abele umiliò Caino, Gesù umiliò il futile tentativo dei religiosi di salvarsi da soli tramite il loro legalismo religioso. L’uomo naturale adora la religiosità, e non Dio, perché la religiosità esalta la sua presunta bontà, rettitudine e santità. La religiosità è spesso il metodo con cui l’uomo cerca di rendersi spirituale con le proprie forze. Gesù è la fine della religiosità esteriore e l’inizio del ritorno a Dio in un rapporto vero e sincero, senza l’artificiosità della religiosità umana.
La religione Cainica degli uomini sparse il sangue del vero agnello di Dio, Gesù, adempiendo così il Suo progetto di redenzione. Il cerchio si chiuse nel giorno in cui l’uomo odiò Dio così tanto da volerlo uccidere e Dio amò l’uomo così tanto da morire per salvarlo. La massima malvagità contro l’infinito amore, e l’amore vinse. Il prezzo del nostro peccato fu pagato e la legge, che lo richiedeva, fu adempiuta e superata. Ora, tramite Gesù, ogni uomo che lo desideri può essere perdonato e pienamente accolto in Dio.
Il filo conduttore
Qualcuno potrebbe obbiettare che in questa parte dedicata all’antico testamento, abbiamo parlato di tutt'altro che del materiale in esso contenuto. Come negli altri casi ripeto che lo scopo di queste pagine introduttive non va inteso come riassunto dei contenuti, che vanno invece studiati direttamente sulla Bibbia. Il mio intento era sempre quello di dare delle chiavi interpretative per rendere più facile e comprensivo lo studio. Un altro mio intento, specialmente nel caso dell’antico testamento, era quello di mostrare quell’unico filo conduttore che passa dalla Genesi all’Apocalisse, e oltre. Gesù è quel filo conduttore, l’inizio [Nel principio era la Parola] [11], il cuore [la parola fu fatta carne] [12], e la fine della Bibbia [Io sono l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, il principio e la fine] [13]. Lo vediamo nel giardino dell’eden, poi con Abramo, con Mosè, nella fornace con i tre amici di Daniele, nella mangiatoia, sulla croce, e un giorno lo vedremo nel suo ritorno nelle nuvole, e infine nelle meravigliose nozze dell’agnello.
La Bibbia, incluso l’Antico Testamento, è la più affascinate storia d’amore che esista. Un Dio d’amore crea altri da amare e con cui condividersi. Li pone in una dimensione temporanea, dove sa che si allontaneranno, ma che ultimamente torneranno a lui. Rimane nascosto, senza interferire nelle loro scelte e li guarda crescere. Li guarda fare scelte giuste e sbagliate, e sa che inevitabilmente questo li preparerà per il loro destino finale con Lui. In questo modo e in questa dimensione, gli uomini partecipano alla loro stessa creazione, decidendo la loro natura eterna con le loro scelte. Si autodeterminano, fino a che, come liberi esseri cercheranno Lui. E lui era sempre lì che li aspettava, corteggiava e preparava per un’eternità insieme, che va di là da ogni immaginazione. E’ la più grande avventura che esista e non c’è romanzo o saga che vi ci possa comparare, e il finale è estremamente lieto.
Qualcuno dirà, “ma non per chi va all’inferno”, ma c’è una risposta anche per questi e la serbiamo per uno studio futuro.
A questo punto vi augurerei una buona lettura dell’Antico Testamento, ma me ne guardo in quanto, considerata la lunghezza, per alcuni potrebbe sembrare piuttosto un mal-augurio. Penso che un approccio più ragionevole sarebbe quello di usare un segnalibro e leggere l’Antico Testamento pochi capitoli per volta. La prima parte, quella storica, è piena di avventure e storie accattivanti che creano una lettura piacevole, anche per quei momenti quando non si ha voglia di pensare troppo. I salmi sono ideali per quando vi sentite un po’ giù. I proverbi contengono saggezza che non scade mai. I profeti, invece, richiedono una buona conoscenza della storia li tratteremo nella prossima parte.
1. Genesi 4; 9
2. Genesi 4; 26
3. Apocalisse 13; 8
4. Vangelo di Giovanni 1; 29
5. Epistola di Paolo ai Galati 3; 19
6. Epistola di Paolo ai Galati 3; 23 e 24
7. Vangelo di Giovanni 4; 23
8. Vangelo di Giovanni 1; 12,13
9. Epistola agli Ebrei 10; 1
10. Epistola ai Romani 7; 7
11. Vangelo di Giovanni 1; 1
12. Vangelo di Giovanni 1; 14
13. Apocalisse 22; 13
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lunedì 20 settembre 2010
Appendice - Quale cristianesimo?
Sicuramente il lettore si sarà chiesto in quale ramo del cristianesimo o corrente teologica si collochi questo scritto. Per questo occorre fare una parentesi storico-teologica. Premetto che sarà una valutazione estremamente concisa e non uno studio esauriente dei soggetti esaminati, ma spero che basti a rispondere alla legittima curiosità del lettore.
Oggi si definiscono cristiani circa un terzo della popolazione mondiale, a loro volta suddivisi in tre gruppi principali, Ortodossi, Cattolici e Protestanti.
Ortodossia
La chiesa ortodossa, quella tradizionalmente più antica, aderisce a una tradizione immutabile. Mantiene di essere la chiesa che ha preservato senza sviarsi la tradizione tramandata originalmente dagli apostoli. Avendo affrontato varie eresie nei primi secoli del cristianesimo ha dato molto importanza alla tradizione come fattore stabilizzante e determinante della vera fede. A loro avviso è questa tradizione che garantisce e suggella la vera fede. La Bibbia è importante ma insufficiente da sola e può essere interpretata correttamente solo se confrontata con la tradizione tramandata dagli apostoli.
Cattolicesimo
La chiesa Cattolica ha anch'essa una tradizione, ma diversa. Si tratta del cosiddetto primato di Pietro, che come una dinastia, si tramanda fino a noi attraverso i papi, ritenuti vicari di Cristo. Come tali questi hanno il potere di introdurre nuove rivelazioni, dogmi e una maturazione della tradizione. Questa tradizione assicura stabilità e nel contempo permette adattamenti e ammodernamenti. La Bibbia è fondamentale ma insufficiente di per sé senza il ruolo della chiesa.
Protestantesimo
La riforma, o protestantesimo, non dà eccessiva importanza alla tradizione ma si rimette alla Bibbia come unica autorità e il loro motto è “sola scriptura”, cioè solo la parola scritta. La bibbia è l’assoluto verbo di Dio e ciò che basta per determinare la via della fede cristiana. La mancanza di una tradizione unica ha favorito un maggiore frazionamento in più realtà che aderiscono a varie interpretazioni della scrittura. Ciò non vuol dire che non vi siano tradizioni, ma piuttosto che rituali o strutturali, si tratta di tradizioni interpretative particolari delle varie chiese in cui sono suddivisi.
Da questi tre sistemi scaturiscono migliaia di altre realtà, ma in linea di massima ogni cristiano s’identifica con uno dei tre e adotta automaticamente un giudizio critico sugli altri due. Si tratta di una situazione simile a quella che abbiamo in Italia con il bipolarismo politico, dove siamo abituati a inquadrare ogni pensiero politico a destra o a sinistra, l’unica differenza è che in tema di cristianesimo si tratta di tripolarismo. Non intendo discriminare fra i tre sistemi indicati, né deviare dall’intento di questo metodo, ma concludo affermando che sebbene siano possibili delle valutazioni, non sono determinanti allo scopo di stabilire chi è cristiano e chi no. Sono convinto che le differenze siano state per lo più dettate da ragioni storico-politiche, piuttosto che di fede. Tuttora il cristianesimo si trascina dietro uno scomodo bagaglio di macerie accumulate dalle guerre e faide del passato, che purtroppo perpetuano forti pregiudizi e atteggiamenti d’astio.
Non è l'abito che fa il monaco
Invito il lettore a cercare attivamente di mettere da parte i pregiudizi culturalmente ereditati e a guardare oltre. Cristiano non significa essere o non essere associato con uno dei tre sistemi indicati, ma significa seguire Cristo. Chi segue Cristo è cristiano a scapito o a utile di quale chiesa appartenga e il vecchio detto “non è l’abito che fa il monaco” è sicuramente confermato. Così vi prego di desistere dall’inquadrare in uno dei tre sistemi quello che avete letto qui, quantomeno quello che leggerete nella Bibbia stessa.
Incoraggio il lettore a ragionare per conto suo, a iniziare il suo cammino di scoperta utilizzando il metodo che ho esposto, ma poi di farsi guidare da Dio nella sua scoperta personale di un rapporto diretto con lo Spirito che ha inspirato le scritture. Il mio intento è solo di provvedere delle chiavi che diano la capacità, a chiunque le utilizzi, di vagliare e intendere quello che leggono. Strumenti che possano aiutare a superare le apparenti contraddizioni e gli antichi preconcetti, così che il lettore possa vedere, non un’antica opera letteraria, ma un Dio vivente.
L’appartenenza o meno a una qualsiasi chiesa è una prerogativa personale del lettore e non determina, a mio avviso, il grado di vicinanza a Cristo, che non può essere giudicato da fattori esterni. Essendovi però sia il beneficio sia la necessità di vivere la propria fede assieme ad altri, ritengo sia una scelta personale con chi associarsi a questo scopo. Da considerare è la disponibilità e prossimità di una chiesa, gruppo di preghiera o altro nel paese in cui ci si trova. E’ ovvio che in certi luoghi vi sia più scelta che in altri, ma ovunque è possibile trovare coloro con cui condividere un cammino di fede. Sono convinto che Dio è capace di guidare ognuno alla situazione che meglio fa al caso loro.
Ripeto che non è la chiesa o il gruppo che fa il cristiano, ma e la scelta personale di vivere secondo i suoi insegnamenti. Siccome le istituzioni religiose hanno tutte dei pregi e dei difetti e le loro differenze si basano per lo più su aspetti umani, anziché cristiani, non è eccessivamente determinate a quale chiesa si appartiene, purché Cristo ne sia il fondamento. Essere cristiano è qualcosa d’intimo e personale che non dipende eccessivamente dal tipo di chiesa cui si appartiene. Se si è Cristiani, però, si potrà certo apportare un valido contributo a qualsiasi chiesa ci si voglia associare, e riceverne in cambio. Guai però all’identificare la propria cristianità con l’appartenenza. Come l’entrare un’officina non ci rende meccanici, né l’entrare una chiesa, cristiani.
Oggi si definiscono cristiani circa un terzo della popolazione mondiale, a loro volta suddivisi in tre gruppi principali, Ortodossi, Cattolici e Protestanti.
Ortodossia
La chiesa ortodossa, quella tradizionalmente più antica, aderisce a una tradizione immutabile. Mantiene di essere la chiesa che ha preservato senza sviarsi la tradizione tramandata originalmente dagli apostoli. Avendo affrontato varie eresie nei primi secoli del cristianesimo ha dato molto importanza alla tradizione come fattore stabilizzante e determinante della vera fede. A loro avviso è questa tradizione che garantisce e suggella la vera fede. La Bibbia è importante ma insufficiente da sola e può essere interpretata correttamente solo se confrontata con la tradizione tramandata dagli apostoli.
Cattolicesimo
La chiesa Cattolica ha anch'essa una tradizione, ma diversa. Si tratta del cosiddetto primato di Pietro, che come una dinastia, si tramanda fino a noi attraverso i papi, ritenuti vicari di Cristo. Come tali questi hanno il potere di introdurre nuove rivelazioni, dogmi e una maturazione della tradizione. Questa tradizione assicura stabilità e nel contempo permette adattamenti e ammodernamenti. La Bibbia è fondamentale ma insufficiente di per sé senza il ruolo della chiesa.
Protestantesimo
La riforma, o protestantesimo, non dà eccessiva importanza alla tradizione ma si rimette alla Bibbia come unica autorità e il loro motto è “sola scriptura”, cioè solo la parola scritta. La bibbia è l’assoluto verbo di Dio e ciò che basta per determinare la via della fede cristiana. La mancanza di una tradizione unica ha favorito un maggiore frazionamento in più realtà che aderiscono a varie interpretazioni della scrittura. Ciò non vuol dire che non vi siano tradizioni, ma piuttosto che rituali o strutturali, si tratta di tradizioni interpretative particolari delle varie chiese in cui sono suddivisi.
Da questi tre sistemi scaturiscono migliaia di altre realtà, ma in linea di massima ogni cristiano s’identifica con uno dei tre e adotta automaticamente un giudizio critico sugli altri due. Si tratta di una situazione simile a quella che abbiamo in Italia con il bipolarismo politico, dove siamo abituati a inquadrare ogni pensiero politico a destra o a sinistra, l’unica differenza è che in tema di cristianesimo si tratta di tripolarismo. Non intendo discriminare fra i tre sistemi indicati, né deviare dall’intento di questo metodo, ma concludo affermando che sebbene siano possibili delle valutazioni, non sono determinanti allo scopo di stabilire chi è cristiano e chi no. Sono convinto che le differenze siano state per lo più dettate da ragioni storico-politiche, piuttosto che di fede. Tuttora il cristianesimo si trascina dietro uno scomodo bagaglio di macerie accumulate dalle guerre e faide del passato, che purtroppo perpetuano forti pregiudizi e atteggiamenti d’astio.
Non è l'abito che fa il monaco
Invito il lettore a cercare attivamente di mettere da parte i pregiudizi culturalmente ereditati e a guardare oltre. Cristiano non significa essere o non essere associato con uno dei tre sistemi indicati, ma significa seguire Cristo. Chi segue Cristo è cristiano a scapito o a utile di quale chiesa appartenga e il vecchio detto “non è l’abito che fa il monaco” è sicuramente confermato. Così vi prego di desistere dall’inquadrare in uno dei tre sistemi quello che avete letto qui, quantomeno quello che leggerete nella Bibbia stessa.
Incoraggio il lettore a ragionare per conto suo, a iniziare il suo cammino di scoperta utilizzando il metodo che ho esposto, ma poi di farsi guidare da Dio nella sua scoperta personale di un rapporto diretto con lo Spirito che ha inspirato le scritture. Il mio intento è solo di provvedere delle chiavi che diano la capacità, a chiunque le utilizzi, di vagliare e intendere quello che leggono. Strumenti che possano aiutare a superare le apparenti contraddizioni e gli antichi preconcetti, così che il lettore possa vedere, non un’antica opera letteraria, ma un Dio vivente.
L’appartenenza o meno a una qualsiasi chiesa è una prerogativa personale del lettore e non determina, a mio avviso, il grado di vicinanza a Cristo, che non può essere giudicato da fattori esterni. Essendovi però sia il beneficio sia la necessità di vivere la propria fede assieme ad altri, ritengo sia una scelta personale con chi associarsi a questo scopo. Da considerare è la disponibilità e prossimità di una chiesa, gruppo di preghiera o altro nel paese in cui ci si trova. E’ ovvio che in certi luoghi vi sia più scelta che in altri, ma ovunque è possibile trovare coloro con cui condividere un cammino di fede. Sono convinto che Dio è capace di guidare ognuno alla situazione che meglio fa al caso loro.
Ripeto che non è la chiesa o il gruppo che fa il cristiano, ma e la scelta personale di vivere secondo i suoi insegnamenti. Siccome le istituzioni religiose hanno tutte dei pregi e dei difetti e le loro differenze si basano per lo più su aspetti umani, anziché cristiani, non è eccessivamente determinate a quale chiesa si appartiene, purché Cristo ne sia il fondamento. Essere cristiano è qualcosa d’intimo e personale che non dipende eccessivamente dal tipo di chiesa cui si appartiene. Se si è Cristiani, però, si potrà certo apportare un valido contributo a qualsiasi chiesa ci si voglia associare, e riceverne in cambio. Guai però all’identificare la propria cristianità con l’appartenenza. Come l’entrare un’officina non ci rende meccanici, né l’entrare una chiesa, cristiani.
domenica 19 settembre 2010
IV Parte
Giovanni
Giovanni fu l’ultimo degli apostoli a scrivere un vangelo e tre epistole. Quello che lui scrisse è notevole, degno di studio e riflessione particolare. Giovanni non fu solo uno degli apostoli scelti da Gesù, ma fu “quello che Gesù amava” [1]. Fu il più giovane degli apostoli, l’unico presente alla crocefissione e colui cui Gesù affidò sua madre.
Giovanni era quindi molto vicino a Gesù e fu un testimone oculare. Nel suo vangelo, però, non comunicò solo la storia di eventi vissuti col maestro, ma soprattutto quelle convinzioni teologiche che col tempo avevano maturato in lui. Giovanni, infatti, omise molti degli eventi già narrati negli altri vangeli e ne aggiunse altri. Chi legge ha l’impressione che Giovanni scrisse per completare, per aggiungere quello che gli altri avevano ignorato e per spiegare quello che non avevano ancora capito.
Giovanni, definito il teologo per eccellenza, visse qualche decennio oltre ai suoi compagni apostoli e andò oltre, diventando la personificazione di quello che Gesù aveva predetto, “Ho ancora molte cose da dirvi; ma non sono per ora alla vostra portata; quando però sarà venuto lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità” [2]. Come abbiamo già notato, i discepoli non conoscevano Gesù pienamente mentre egli viveva con loro. Tante cose le capirono solo dopo la sua morte e resurrezione, e altre ancor più tardi. Giovanni vivendo più a lungo, fu perciò recettore di più rivelazioni sulla natura e missione di Gesù.
Inoltre, con la scomparsa degli altri apostoli e primi testimoni oculari, stavano affiorando dei “nuovi vangeli” che deviavano, sia dai fatti sia dagli insegnamenti. Erano storie non autentiche, che oggi definiamo apocrife, e parte della sua prima epistola, Giovanni la dedicò proprio a respingerne una. Si affermava in questa che Gesù non era “venuto nella carne” [3], cioè non era divenuto umano con un corpo di carne, ma era rimasto essenzialmente spirito, come un fantasma o una sorta di alieno. Giovanni ebbe quindi anche il compito di respingere alcune di queste prime falsificazioni cristiane.
Indubbiamente la sua opera maggiore fu quella di confermare, approfondire e completare quella che Gesù aveva definito una rivelazione progressiva di sé, e lo fece stupendamente. Nei suoi scritti Giovanni ci diede più verità di chiunque altro. “Nel principio era la parola e la parola era con Dio e la parola era Dio. E la parola fu fatta carne. A chiunque l’ha ricevuto Egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio. Bisogna nascere di nuovo. Non da volontà d’uomo, ma da Dio. Poiché Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unigenito figlio affinché chiunque crede in Lui non perisca ma abbia vita eterna. Dio è amore” [4].
Giovanni andò oltre ai semplici eventi storici e risalì alle origini del tempo, dove ci s’incontra con chi guida la storia, “prima che Abramo fosse, io sono” [5]. Nelle parole di Gesù, che Lui citò più di chiunque altro, ci diede un incomparabile spiraglio nella mente di Dio, anzi nel Suo cuore, e ci disse che Gesù venne per amore, visse per amore e morì per lo stesso.
Dio è Amore
Nella sua prima epistola, Giovanni ci dà ciò che nessun altro aveva ancora carpito così profondamente, cioè che Dio è essenzialmente Amore. Che ci ha amato così tanto da dare suo figlio per noi, per caricarsi dei nostri peccati e renderci giustificati per fede. Un regalo inestimabile, che la teologia di Paolo già insegnava, ma che Giovanni rivelò ancora più profondamente. In parole semplici, ma inequivocabili, Giovanni disse: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. Noi abbiamo conosciuto l'amore che Dio ha per noi, e vi abbiamo creduto. Dio è amore; e chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui” [6].
Questo concetto, già implicito nell’antico testamento, fu poi rivelato da Gesù con parole citate nel vangelo di Matteo: “E uno di loro, dottore della legge, gli domandò, per metterlo alla prova: "Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?" Gesù gli disse: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente". Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a questo, è: "Ama il tuo prossimo come te stesso". Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti" [7]. La legge significava i libri di Mosè con i comandamenti e i profeti erano i libri profetici, in pratica l’Antico Testamento. Gesù aveva quindi affermato che questo si sommava tutto in due semplici regole, ama Dio e ama gli altri. A questo Paolo dedicò un intero capitolo, 1° Corinzi 13. Nei capitoli precedenti aveva appena descritto i vari doni dello Spirito Santo e i corrispettivi ruoli che questi conferivano ai credenti. Terminava poi affermando che tutte quelle capacità e mansioni non valevano assolutamente niente se non erano praticate in amore.
1Corinzi 13
1 Quand'anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non ho amore, divento un bronzo risonante o uno squillante cembalo. 2 E se anche avessi il dono di profezia, intendessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede da trasportare i monti, ma non ho amore, non sono nulla. 3 E se spendessi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri e dessi il mio corpo per essere arso, ma non ho amore, tutto questo niente mi giova. 4 L'amore è paziente, è benigno; l'amore non invidia, non si mette in mostra, non si gonfia, 5 non si comporta in modo indecoroso, non cerca le cose proprie, non si irrita, non sospetta il male; 6 non si rallegra dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità, 7 tollera ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. 8 L'amore non viene mai meno; ma le profezie saranno abolite, le lingue cesseranno e la conoscenza sarà abolita, 9 perché conosciamo in parte e profetizziamo in parte. 10 Ma quando sarà venuta la perfezione, allora quello che è solo parziale sarà abolito. 11 Quand'ero bambino, parlavo come un bambino, avevo il senno di un bambino, ragionavo come un bambino; quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. 12 Ora infatti vediamo come per mezzo di uno specchio, in modo oscuro, ma allora vedremo a faccia a faccia; ora conosco in parte, ma allora conoscerò proprio come sono stato conosciuto. 13 Ora dunque queste tre cose rimangono: fede, speranza e amore; ma la più grande di esse è l'amore.
Mi manca lo spazio per citare tutti brani di scrittura che indicano un Dio d’amore e un nuovo patto in cui la nuova legge è “ama”, ma ne cito uno dei miei preferiti, “L'amore non fa nessun male al prossimo; l'amore quindi è l'adempimento della legge (dei comandamenti) ” [8].
La legge mosaica, cioè il vecchio patto che Paolo definiva un “tutore”, si basava principalmente su regole, proibizioni e dovute punizioni atte a mantenere gli uomini entro certi parametri di comportamento, affinché non si facessero del male l’un l’altro. Questa legge, fu aggiunta per via della mancanza d’amore degli uomini, ma non era l’intento originale di Dio, tantomeno quello finale. Era un passaggio, come un tutore lo è per un bambino, fino a che in Cristo, l’uomo arrivasse alla sua maturità. A riguardo Paolo scrisse “Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino”. Disse questo con riferimento a quegli aspetti esteriori della religione e concluse poi con “Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l'amore”. E così, ciò che fu implicito ma quasi nascosto nell’antica legge, fu poi palesemente rivelato da Gesù, Paolo e infine Giovanni. In modo graduale e sempre più distinto lo Spirito Santo rivelò tramite questi che l’amore è l’intento, la sostanza e la meta finale del rapporto fra uomo e Dio. E’ quello che noi cristiani dobbiamo cercare, che denota il nostro superamento di un’infanzia spirituale e il passaggio dalla religiosità esteriore alla maturità.
Crescere in amore
Non sempre però desideriamo crescere e maturare. Spesso ci fermiamo alle cose infantili e visibili del nostro cammino di fede e non vediamo dov'è che Dio vorrebbe condurci. Restiamo legati a quel passato, dove la religione consisteva di oggetti e cerimonie illustrative. Trovando una percezione del sacro nella religiosità, con i suoi edifici, riti e costumi, non ci sforziamo di andare oltre, alla scoperta di un rapporto vivo con Dio. Quando una donna Samaritana di religione diversa dai Giudei, chiese a Gesù quale fosse la religione giusta e dove andare ad adorare, Gesù le rispose “l'ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori. Dio è Spirito; e quelli che l'adorano, bisogna che l'adorino in spirito e verità" [9].
Parole semplici, chiare e profonde, ma la mancanza di desiderio per questo tipo di rapporto diretto con Dio ci rende inclini ai sostituti. Invece di Dio scegliamo il sacrale, invece di amare Dio e gli altri ci nascondiamo nella religiosità e l’illusione di spiritualità che questa ci concede. Ciononostante Dio è un Dio d’amore, anzi, è l’amore stesso e come tale non si adira con chi di noi è ancora bambino e gioca, per così dire, alla religione. Dio ci accetta con immenso amore e ci ama in ogni nostra condizione, sapendo che un giorno matureremo. Per questo ci guida attraverso quelle esperienze di vita che ci aiutano a progredire.
Paolo disse “Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente” [10]. Perciò, solo quando vedremo Gesù faccia a faccia troveremo quella pienezza d’unità e comprensione. Nel frattempo, essendo creature che crescono e maturano, siamo ognuno destinati a vivere il nostro cammino e la comprensione che questo ci permette in ogni sua fase.
Dio non ci giudica secondo differenze teologiche, la conoscenza, carismi o altro, ma dall’amore che diamo, e per questo Gesù disse che i primi sarebbero stati gli ultimi e gli ultimi i primi, e che ciò che è esaltato agli occhi degli uomini sarà abbassato, ma chi si è umiliato nelle mani di Dio (amore) sarà innalzato [11]. L’amore e l’umiltà sono la stessa cosa, e non si può amare senza umiltà, né essere umili senza amore. Se veramente vogliamo maturare nel nostro cammino di fede ed essere più in sintonia con Lui, dobbiamo crescere in amore e umiltà. Dobbiamo evitare di puntare il dito ad altri credenti e lasciare che Sia Lui a giudicare. Dobbiamo invece guardare a noi stessi e giudicare ogni nostra attività dal punto di vista dell’amore.
La luce di Dio
Certo non possiamo abbandonarci al relativismo in nome dell’amore, perché le verità assolute esistono, e questo implica un giudizio. Come l’amore è la luce di Dio, l’assenza d’amore è il buio, con tutte le sue manifestazioni. Dio, infatti, dice “Guai a quelli che chiamano bene il male, e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre”[12]. Ma non si combatte il buio col buio, ma solo accendendo la luce, ed è perciò che Gesù disse sulla croce “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno” [13]. Per questo che insegnò "amate i vostri nemici; fate del bene a quelli che vi odiano; benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi oltraggiano. A chi ti percuote su una guancia, porgigli anche l'altra; e a chi ti toglie il mantello non impedire di prenderti anche la tunica. Dà a chiunque ti chiede; e a chi ti toglie il tuo, non glielo ridomandare. E come volete che gli uomini facciano a voi, fate voi pure a loro. Se amate quelli che vi amano, quale grazia ve ne viene? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a quelli che vi fanno del bene, quale grazia ve ne viene? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a quelli dai quali sperate di ricevere, qual grazia ne avete? Anche i peccatori prestano ai peccatori per riceverne altrettanto. Ma amate i vostri nemici, fate del bene, prestate senza sperarne nulla e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; poiché egli è buono verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro. "Non giudicate, e non sarete giudicati; non condannate, e non sarete condannati; perdonate, e vi sarà perdonato. Date, e vi sarà dato; vi sarà versata in seno buona misura, pigiata, scossa, traboccante; perché con la misura con cui misurate, sarà rimisurato a voi [14].
Questa fu la luce che Gesù accese ed è la luce che illumina il cammino di ogni cristiano. “Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri"[15]. Il Dio che Gesù e gli apostoli ci hanno mostrato è Amore. Possa l’Amore darci la forza di rappresentarlo agli uomini quali Egli è, e non a nostra limitata immagine. Un Dio che giudica, vendicativo e austero è assai più facile da emulare. Dente per dente e occhio per occhio, ci viene istintivamente. Anche i discepoli ebbero tali reazioni, “Mandò davanti a sé dei messaggeri, i quali, partiti, entrarono in un villaggio dei Samaritani per preparargli un alloggio. Ma quelli non lo ricevettero perché era diretto verso Gerusalemme. Veduto ciò, i suoi discepoli Giacomo e Giovanni dissero: "Signore, vuoi che diciamo che un fuoco scenda dal cielo e li consumi?" Ma egli si voltò verso di loro e li sgridò e disse: "Voi non sapete di quale spirito siete animati. Poiché il Figlio dell'uomo è venuto, non per perdere le anime degli uomini, ma per salvarle"[16]. “Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” [17].
Possa la luce del Dio d’amore brillare nei nostri cuori e liberarci dalle catene della nostra superbia e religiosità umana, quel che noi spesso chiamiamo luce, ma che invece è tenebra. Possa la Sua luce brillare fino al giorno perfetto, in cui saremo in perfetta comunione con Lui e l’un l’altro.
Con questo finisce il nostro studio dell’origine e scopo del cristianesimo. La prima epistola di Giovanni ne è una giusta conclusione e v’invito a leggerla per intero e a meditarci sopra. Non finisce qui però il nostro studio della Bibbia. Ancora ci manca l’Antico Testamento, con la storia della creazione, della caduta dell’umanità e il successivo piano di redenzione di Dio, un elemento necessario per la nostra comprensione dell’intero intento di Dio. Il vangelo rimarrà però sempre centrale per ognuno di noi che desidera definirsi cristiano.
Buona lettura della prima epistola di Giovanni, e buon ripasso del Vangelo.
1. Vangelo di Giovanni 13; 23, 20; 2, 21; 7 e 20
2. Vangelo di Giovanni 16; 12,13
3. Prima epistola di Giovanni 4; 2
4. Vangelo di Giovanni 1,2,3 - Prima epistola di Giovanni 4; 8 e 16
5. Vangelo di Giovanni 8; 58
6. Prima epistola di Giovanni 4: 7,8 e 16
7. Vangelo di Matteo 22; 35 a 40
8. Epistola di Paolo ai Romani 13; 10
9. Giovanni 4; 23,24
10. Prima epistola di Paolo ai Corinzi 13; 12
11. Vangelo di Matteo 23; 12
12. Isaia 5; 20
13. Vangelo di Luca 23; 34
14. Vangelo di Luca 6; 27 a 38
15. Vangelo di Giovanni 13; 35
16. Vangelo di Luca 9; 52 a 56
17. Epistola di Paolo ai Romani 5; 8
Giovanni fu l’ultimo degli apostoli a scrivere un vangelo e tre epistole. Quello che lui scrisse è notevole, degno di studio e riflessione particolare. Giovanni non fu solo uno degli apostoli scelti da Gesù, ma fu “quello che Gesù amava” [1]. Fu il più giovane degli apostoli, l’unico presente alla crocefissione e colui cui Gesù affidò sua madre.
Giovanni era quindi molto vicino a Gesù e fu un testimone oculare. Nel suo vangelo, però, non comunicò solo la storia di eventi vissuti col maestro, ma soprattutto quelle convinzioni teologiche che col tempo avevano maturato in lui. Giovanni, infatti, omise molti degli eventi già narrati negli altri vangeli e ne aggiunse altri. Chi legge ha l’impressione che Giovanni scrisse per completare, per aggiungere quello che gli altri avevano ignorato e per spiegare quello che non avevano ancora capito.
Giovanni, definito il teologo per eccellenza, visse qualche decennio oltre ai suoi compagni apostoli e andò oltre, diventando la personificazione di quello che Gesù aveva predetto, “Ho ancora molte cose da dirvi; ma non sono per ora alla vostra portata; quando però sarà venuto lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità” [2]. Come abbiamo già notato, i discepoli non conoscevano Gesù pienamente mentre egli viveva con loro. Tante cose le capirono solo dopo la sua morte e resurrezione, e altre ancor più tardi. Giovanni vivendo più a lungo, fu perciò recettore di più rivelazioni sulla natura e missione di Gesù.
Inoltre, con la scomparsa degli altri apostoli e primi testimoni oculari, stavano affiorando dei “nuovi vangeli” che deviavano, sia dai fatti sia dagli insegnamenti. Erano storie non autentiche, che oggi definiamo apocrife, e parte della sua prima epistola, Giovanni la dedicò proprio a respingerne una. Si affermava in questa che Gesù non era “venuto nella carne” [3], cioè non era divenuto umano con un corpo di carne, ma era rimasto essenzialmente spirito, come un fantasma o una sorta di alieno. Giovanni ebbe quindi anche il compito di respingere alcune di queste prime falsificazioni cristiane.
Indubbiamente la sua opera maggiore fu quella di confermare, approfondire e completare quella che Gesù aveva definito una rivelazione progressiva di sé, e lo fece stupendamente. Nei suoi scritti Giovanni ci diede più verità di chiunque altro. “Nel principio era la parola e la parola era con Dio e la parola era Dio. E la parola fu fatta carne. A chiunque l’ha ricevuto Egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio. Bisogna nascere di nuovo. Non da volontà d’uomo, ma da Dio. Poiché Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unigenito figlio affinché chiunque crede in Lui non perisca ma abbia vita eterna. Dio è amore” [4].
Giovanni andò oltre ai semplici eventi storici e risalì alle origini del tempo, dove ci s’incontra con chi guida la storia, “prima che Abramo fosse, io sono” [5]. Nelle parole di Gesù, che Lui citò più di chiunque altro, ci diede un incomparabile spiraglio nella mente di Dio, anzi nel Suo cuore, e ci disse che Gesù venne per amore, visse per amore e morì per lo stesso.
Dio è Amore
Nella sua prima epistola, Giovanni ci dà ciò che nessun altro aveva ancora carpito così profondamente, cioè che Dio è essenzialmente Amore. Che ci ha amato così tanto da dare suo figlio per noi, per caricarsi dei nostri peccati e renderci giustificati per fede. Un regalo inestimabile, che la teologia di Paolo già insegnava, ma che Giovanni rivelò ancora più profondamente. In parole semplici, ma inequivocabili, Giovanni disse: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. Noi abbiamo conosciuto l'amore che Dio ha per noi, e vi abbiamo creduto. Dio è amore; e chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui” [6].
Questo concetto, già implicito nell’antico testamento, fu poi rivelato da Gesù con parole citate nel vangelo di Matteo: “E uno di loro, dottore della legge, gli domandò, per metterlo alla prova: "Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?" Gesù gli disse: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente". Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a questo, è: "Ama il tuo prossimo come te stesso". Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti" [7]. La legge significava i libri di Mosè con i comandamenti e i profeti erano i libri profetici, in pratica l’Antico Testamento. Gesù aveva quindi affermato che questo si sommava tutto in due semplici regole, ama Dio e ama gli altri. A questo Paolo dedicò un intero capitolo, 1° Corinzi 13. Nei capitoli precedenti aveva appena descritto i vari doni dello Spirito Santo e i corrispettivi ruoli che questi conferivano ai credenti. Terminava poi affermando che tutte quelle capacità e mansioni non valevano assolutamente niente se non erano praticate in amore.
1Corinzi 13
1 Quand'anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non ho amore, divento un bronzo risonante o uno squillante cembalo. 2 E se anche avessi il dono di profezia, intendessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede da trasportare i monti, ma non ho amore, non sono nulla. 3 E se spendessi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri e dessi il mio corpo per essere arso, ma non ho amore, tutto questo niente mi giova. 4 L'amore è paziente, è benigno; l'amore non invidia, non si mette in mostra, non si gonfia, 5 non si comporta in modo indecoroso, non cerca le cose proprie, non si irrita, non sospetta il male; 6 non si rallegra dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità, 7 tollera ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. 8 L'amore non viene mai meno; ma le profezie saranno abolite, le lingue cesseranno e la conoscenza sarà abolita, 9 perché conosciamo in parte e profetizziamo in parte. 10 Ma quando sarà venuta la perfezione, allora quello che è solo parziale sarà abolito. 11 Quand'ero bambino, parlavo come un bambino, avevo il senno di un bambino, ragionavo come un bambino; quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. 12 Ora infatti vediamo come per mezzo di uno specchio, in modo oscuro, ma allora vedremo a faccia a faccia; ora conosco in parte, ma allora conoscerò proprio come sono stato conosciuto. 13 Ora dunque queste tre cose rimangono: fede, speranza e amore; ma la più grande di esse è l'amore.
Mi manca lo spazio per citare tutti brani di scrittura che indicano un Dio d’amore e un nuovo patto in cui la nuova legge è “ama”, ma ne cito uno dei miei preferiti, “L'amore non fa nessun male al prossimo; l'amore quindi è l'adempimento della legge (dei comandamenti) ” [8].
La legge mosaica, cioè il vecchio patto che Paolo definiva un “tutore”, si basava principalmente su regole, proibizioni e dovute punizioni atte a mantenere gli uomini entro certi parametri di comportamento, affinché non si facessero del male l’un l’altro. Questa legge, fu aggiunta per via della mancanza d’amore degli uomini, ma non era l’intento originale di Dio, tantomeno quello finale. Era un passaggio, come un tutore lo è per un bambino, fino a che in Cristo, l’uomo arrivasse alla sua maturità. A riguardo Paolo scrisse “Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino”. Disse questo con riferimento a quegli aspetti esteriori della religione e concluse poi con “Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l'amore”. E così, ciò che fu implicito ma quasi nascosto nell’antica legge, fu poi palesemente rivelato da Gesù, Paolo e infine Giovanni. In modo graduale e sempre più distinto lo Spirito Santo rivelò tramite questi che l’amore è l’intento, la sostanza e la meta finale del rapporto fra uomo e Dio. E’ quello che noi cristiani dobbiamo cercare, che denota il nostro superamento di un’infanzia spirituale e il passaggio dalla religiosità esteriore alla maturità.
Crescere in amore
Non sempre però desideriamo crescere e maturare. Spesso ci fermiamo alle cose infantili e visibili del nostro cammino di fede e non vediamo dov'è che Dio vorrebbe condurci. Restiamo legati a quel passato, dove la religione consisteva di oggetti e cerimonie illustrative. Trovando una percezione del sacro nella religiosità, con i suoi edifici, riti e costumi, non ci sforziamo di andare oltre, alla scoperta di un rapporto vivo con Dio. Quando una donna Samaritana di religione diversa dai Giudei, chiese a Gesù quale fosse la religione giusta e dove andare ad adorare, Gesù le rispose “l'ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori. Dio è Spirito; e quelli che l'adorano, bisogna che l'adorino in spirito e verità" [9].
Parole semplici, chiare e profonde, ma la mancanza di desiderio per questo tipo di rapporto diretto con Dio ci rende inclini ai sostituti. Invece di Dio scegliamo il sacrale, invece di amare Dio e gli altri ci nascondiamo nella religiosità e l’illusione di spiritualità che questa ci concede. Ciononostante Dio è un Dio d’amore, anzi, è l’amore stesso e come tale non si adira con chi di noi è ancora bambino e gioca, per così dire, alla religione. Dio ci accetta con immenso amore e ci ama in ogni nostra condizione, sapendo che un giorno matureremo. Per questo ci guida attraverso quelle esperienze di vita che ci aiutano a progredire.
Paolo disse “Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente” [10]. Perciò, solo quando vedremo Gesù faccia a faccia troveremo quella pienezza d’unità e comprensione. Nel frattempo, essendo creature che crescono e maturano, siamo ognuno destinati a vivere il nostro cammino e la comprensione che questo ci permette in ogni sua fase.
Dio non ci giudica secondo differenze teologiche, la conoscenza, carismi o altro, ma dall’amore che diamo, e per questo Gesù disse che i primi sarebbero stati gli ultimi e gli ultimi i primi, e che ciò che è esaltato agli occhi degli uomini sarà abbassato, ma chi si è umiliato nelle mani di Dio (amore) sarà innalzato [11]. L’amore e l’umiltà sono la stessa cosa, e non si può amare senza umiltà, né essere umili senza amore. Se veramente vogliamo maturare nel nostro cammino di fede ed essere più in sintonia con Lui, dobbiamo crescere in amore e umiltà. Dobbiamo evitare di puntare il dito ad altri credenti e lasciare che Sia Lui a giudicare. Dobbiamo invece guardare a noi stessi e giudicare ogni nostra attività dal punto di vista dell’amore.
La luce di Dio
Certo non possiamo abbandonarci al relativismo in nome dell’amore, perché le verità assolute esistono, e questo implica un giudizio. Come l’amore è la luce di Dio, l’assenza d’amore è il buio, con tutte le sue manifestazioni. Dio, infatti, dice “Guai a quelli che chiamano bene il male, e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre”[12]. Ma non si combatte il buio col buio, ma solo accendendo la luce, ed è perciò che Gesù disse sulla croce “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno” [13]. Per questo che insegnò "amate i vostri nemici; fate del bene a quelli che vi odiano; benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi oltraggiano. A chi ti percuote su una guancia, porgigli anche l'altra; e a chi ti toglie il mantello non impedire di prenderti anche la tunica. Dà a chiunque ti chiede; e a chi ti toglie il tuo, non glielo ridomandare. E come volete che gli uomini facciano a voi, fate voi pure a loro. Se amate quelli che vi amano, quale grazia ve ne viene? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a quelli che vi fanno del bene, quale grazia ve ne viene? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a quelli dai quali sperate di ricevere, qual grazia ne avete? Anche i peccatori prestano ai peccatori per riceverne altrettanto. Ma amate i vostri nemici, fate del bene, prestate senza sperarne nulla e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; poiché egli è buono verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro. "Non giudicate, e non sarete giudicati; non condannate, e non sarete condannati; perdonate, e vi sarà perdonato. Date, e vi sarà dato; vi sarà versata in seno buona misura, pigiata, scossa, traboccante; perché con la misura con cui misurate, sarà rimisurato a voi [14].
Questa fu la luce che Gesù accese ed è la luce che illumina il cammino di ogni cristiano. “Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri"[15]. Il Dio che Gesù e gli apostoli ci hanno mostrato è Amore. Possa l’Amore darci la forza di rappresentarlo agli uomini quali Egli è, e non a nostra limitata immagine. Un Dio che giudica, vendicativo e austero è assai più facile da emulare. Dente per dente e occhio per occhio, ci viene istintivamente. Anche i discepoli ebbero tali reazioni, “Mandò davanti a sé dei messaggeri, i quali, partiti, entrarono in un villaggio dei Samaritani per preparargli un alloggio. Ma quelli non lo ricevettero perché era diretto verso Gerusalemme. Veduto ciò, i suoi discepoli Giacomo e Giovanni dissero: "Signore, vuoi che diciamo che un fuoco scenda dal cielo e li consumi?" Ma egli si voltò verso di loro e li sgridò e disse: "Voi non sapete di quale spirito siete animati. Poiché il Figlio dell'uomo è venuto, non per perdere le anime degli uomini, ma per salvarle"[16]. “Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” [17].
Possa la luce del Dio d’amore brillare nei nostri cuori e liberarci dalle catene della nostra superbia e religiosità umana, quel che noi spesso chiamiamo luce, ma che invece è tenebra. Possa la Sua luce brillare fino al giorno perfetto, in cui saremo in perfetta comunione con Lui e l’un l’altro.
Con questo finisce il nostro studio dell’origine e scopo del cristianesimo. La prima epistola di Giovanni ne è una giusta conclusione e v’invito a leggerla per intero e a meditarci sopra. Non finisce qui però il nostro studio della Bibbia. Ancora ci manca l’Antico Testamento, con la storia della creazione, della caduta dell’umanità e il successivo piano di redenzione di Dio, un elemento necessario per la nostra comprensione dell’intero intento di Dio. Il vangelo rimarrà però sempre centrale per ognuno di noi che desidera definirsi cristiano.
Buona lettura della prima epistola di Giovanni, e buon ripasso del Vangelo.
1. Vangelo di Giovanni 13; 23, 20; 2, 21; 7 e 20
2. Vangelo di Giovanni 16; 12,13
3. Prima epistola di Giovanni 4; 2
4. Vangelo di Giovanni 1,2,3 - Prima epistola di Giovanni 4; 8 e 16
5. Vangelo di Giovanni 8; 58
6. Prima epistola di Giovanni 4: 7,8 e 16
7. Vangelo di Matteo 22; 35 a 40
8. Epistola di Paolo ai Romani 13; 10
9. Giovanni 4; 23,24
10. Prima epistola di Paolo ai Corinzi 13; 12
11. Vangelo di Matteo 23; 12
12. Isaia 5; 20
13. Vangelo di Luca 23; 34
14. Vangelo di Luca 6; 27 a 38
15. Vangelo di Giovanni 13; 35
16. Vangelo di Luca 9; 52 a 56
17. Epistola di Paolo ai Romani 5; 8
venerdì 17 settembre 2010
III Parte
Le Epistole di Paolo
Dai vangeli ci siamo fatti un’immagine di Gesù, poi negli Atti degli Apostoli abbiamo visto sia l’entrare in scena dello Spirito Santo, sia il modo in cui i primi cristiani applicarono gli insegnamenti di Gesù. Infine abbiamo visto anche le difficoltà che i primi cristiani ebbero a staccarsi dal sistema religioso precedente, il che si manifestò in rottura fra Paolo, di cui ora studieremo gli scritti, e la chiesa di Gerusalemme. Le ragioni di questo scisma sono un tema ricorrente, a volte un po’ complesso e nient’affatto semplice, ma non scoraggiatevi, una volta acquisite alcune nozioni il tutto diventerà abbastanza semplice e coerente.
Nozioni interpretative
Paolo scrisse molto sulla legge, ma non nel modo in cui noi oggi intendiamo la parola. Come legge Paolo intendeva i comandamenti dati da Mosè, che non erano solo dieci, ma centinaia e regolavano fino ai minimi dettagli la vita degli ebrei. Questi erano la legge del popolo ebraico e nello studio precedente abbiamo tratto un parallelo con la Sharia, o legge islamica. Vi sono, infatti, vari punti d’incontro fra questi due sistemi e la Sharia di oggi ci offre una finestra nel tipo di realtà in cui il primo cristianesimo arrivò. Per capire meglio basta ricordare il caso dell’adultera che volevano lapidare e a cui Gesù salvò la vita. Non lo fece contraddicendo la legge, che gli avrebbe potuto costare la vita, ma con quella frase famosa “chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra”. Fu una risposta veramente divina, perché secondo la legge la donna doveva essere lapidata e Lui non avrebbe potuto opporsi alla legge senza gravi conseguenze. L’unica via di scampo per lui e quella povera donna, che sebbene avesse sbagliato non meritava di morire, fu di acconsentire all’esecuzione aggiungendo una condizione cui nessun accusatore poteva arrivare. In questo modo Gesù fece ben tre cose diverse, salvò la donna, se stesso, e smascherò l’ipocrisia di chi pretendeva di seguire la legge. Un altro esempio di com’erano applicati i comandamenti (la legge) è dimostrato dall’accusa finale di bestemmia, per cui Gesù fu condannato a morte. E’ da considerare che l’infrazione di quasi ognuno dei primi dieci comandamenti comportava la pena di morte, per non parlare poi di tutti gli altri.
I primi cristiani erano tutti ebrei, nati e cresciuti sotto tale legge e, come abbiamo visto, il cristianesimo rappresentava per loro solo una moderata riforma del vecchio sistema. Paolo si batté tenacemente per dimostrare invece che la vecchia legge era superata, e che il cristianesimo non ne aveva più bisogno. Usava spesso, non solo la legge, ma l’intero antico testamento (l’unica scrittura esistente allora) per dimostrare che Gesù ne era l’adempimento e la conclusione. Per Paolo Gesù aveva terminato l’antico testamento e aveva dato inizio al nuovo. L’antico, però, era ancora la legge universale dei credenti nel Dio d’Abramo, incluso i cristiani. Per di più era scritto da secoli, mentre il nuovo non era ancora né conosciuto né scritto. Paolo, come un avvocato di fronte al giudice, usava l’antica legge per presentare ripetutamente il suo caso per il Nuovo Patto e le sue epistole diventarono poi scrittura dello stesso.
Paolo usava l’antica scrittura anche per controbattere alla chiesa di Gerusalemme che pretendeva di giudaizzare (cioè sottoporre alla legge mosaica) i cristiani di origine pagana. L’esempio più classico si trova nell'epistola ai Galati, dove si legge che un gruppo di emissari mandati da Giacomo, vescovo di Gerusalemme, tentarono di giudaizzare i cristiani d'origine pagana convertiti da Paolo. Anche Pietro ne fu coinvolto, dapprima appoggiando Paolo, ma poi facendo un voltafaccia per timore degli emissari da Gerusalemme. Palo si sentì tradito dall'ipocrisia di Pietro e lo riprese apertamente.
La Bibbia non nasconde mai le debolezze dei suoi uomini e racconta francamente i loro sbagli. La ragione è di permetterci di intravedere la differenza fra l’opera di Dio e la fragilità delle persone che Lui usa. Pietro fu un abile strumento e le sue debolezze risaltano ancora di più la potenza di Dio tramite lui. Anche Paolo aveva delle debolezze ed è utile per noi individuarle affinché si possa riconoscere la differenza fra una sua opinione personale e un insegnamento inspirato da Dio. La ragione per cui le sue epistole entrarono a far parte del canone Biblico fu dovuta alla loro ispirazione divina, ma non mancano certi aspetti umani.
Perché Dio scelse Paolo
Come dai vangeli abbiamo appreso com’era Gesù, dalle epistole vedremo com’era Paolo, la sua formazione, il suo carattere, la sua forza, e anche le sue debolezze e incoerenze. Come i vangeli non celano le debolezze di Pietro e degli altri discepoli, così anche le epistole non celano quelle di Paolo. Allo stesso tempo sono anche la massima testimonianza delle ragioni per cui Dio scelse proprio lui. E perché lo scelse?
Paolo rappresentava ciò che nessuno degli altri apostoli era. Proveniva da Tarso, un influente centro di cultura Ellenica, e fu educato a Gerusalemme nella scuola rabbinica di Gamaliele. Paolo era un fariseo e parte di quella corrente ideologica che perseguitò e uccise, prima Gesù, e poi Stefano. Per loro Gesù era un falso profeta, una minaccia all’integrità della loro religione e cultura imperniate sulla legge Mosaica. Paolo era un legalista ed era pronto ad agire per estirpare la nuova eresia cristiana. Era l’immagine del crociato, dell’inquisitore, del protettore della vera fede e tradizione tramandata dai padri.
Se c’è una parola che descrive Paolo, è “zelo”. Non esistevano mezze misure per Lui, e quello per cui valeva la pena vivere, ne valeva la pena anche morire. Quest’intensità di sentimenti, che lo spinse prima a cacciare e perseguitare i cristiani, lo spinse poi a promulgare il cristianesimo.
A confronto, gli altri apostoli erano persone semplici e di poca cultura, a parte forse Matteo. Dio li usò grandemente ma ebbe bisogno di Paolo per sviluppare e scrivere la prima teologia cristiana e portare il cristianesimo oltre i confini del giudaismo. Dio, sapendo che l’ostacolo principale da superare sarebbe stato la vecchia religione, scelse proprio un rabbino proveniente dal giudaismo fondamentalista dei farisei, affinché una volta convertito potesse capire l’ampiezza e profondità del cambiamento avvenuto col sacrificio di Cristo. Paolo, infatti, dedicò gran parte delle sue epistole a spiegare questo, usando la legge Mosaica e l’Antico Patto come strumenti per dimostrarne il loro stesso superamento. Per questo fu più volte accusato di predicare contro la legge "questo è l'uomo che va predicando a tutti e dappertutto contro il popolo, contro la legge e contro questo luogo (tempio) " [1].
Non tutti lo capirono, neanche i suoi compagni e Pietro scrisse di lui “in tutte le sue lettere, in cui tratta di questi argomenti. In esse ci sono alcune cose difficili a capirsi” [2]. Dio però l’aveva scelto e lo sostenne fino a che le sue idee furono finalmente riconosciute. Per sopravvivere e adempiere la sua missione universale, il cristianesimo doveva diventare un’entità propria e staccarsi dal vecchio sistema giudaico. Dio usò Paolo per guidare il cristianesimo fuori dal nido della legge e condurlo alla maturità e libertà del Nuovo Patto.
Fu Gesù che realizzò il Nuovo Patto e lo firmò col proprio sangue, ma per i discepoli fu una scoperta graduale. All’inizio non lo capivano e la cultura giudaica in cui erano nati, era troppo forte affinché questi semplici pescatori potessero contestarla efficacemente. All'inizio del libro degli Atti, vediamo che sotto l’impeto dello Spirito Santo, fecero un primo grande balzo avanti. Poi, come in una guerra di trincea, si trovarono infossati a Gerusalemme, nel tempio, nella sinagoga, legati ai vecchi metodi così che non riuscivano ad andare oltre. Per rompere l’impasse Gesù aveva preparato Paolo, che poi portò fuori da Gerusalemme affinché potesse guidare il giovane movimento cristiano verso la sua espansione globale.
Aspetti umani di Paolo
Come già detto, vi erano dei controsensi anche in Paolo. La sua personalità, come con ogni uomo di Dio, non sempre rifletteva la personalità del maestro e le sue reazioni non sempre assomigliavano a quelle di Gesù. Queste mancanze, se pur minime a confronto con la bellezza dei suoi insegnamenti, vale la pena notarle per evitare brutte sbandate. Ma come possiamo sapere con certezza cos'è “parola di Dio” fra tante parole? E cosa può farci riconoscere un insegnamento contrario, o semplicemente inutile per noi oggi? Semplice … applichiamo il principio che abbiamo stabilito fin dall’inizio. Chiediamoci come si comporterebbe Gesù se fosse nella medesima situazione. Se c’è una netta differenza, allora sappiamo chi ha ragione. Gesù diventa quindi il criterio, e non il nostro giudizio soggettivo. Darò alcuni esempi:
Le donne
Se ci addentriamo nel contesto storico del tempo, scopriamo un mondo estremamente maschilista, dove alla donna non erano concessi ruoli al di fuori della casa e dei figli. I vangeli, invece, ci raccontano molte storie di donne. Vi erano donne che lo seguivano, che supplivano alle sue necessità, c’era la Maddalena che fu con lui fino alla fine, la prostituta che gli lavò i piedi con le lacrime, l’adultera che salvò dalla lapidazione, le sorelle Marta e Maria, la donna samaritana al pozzo, l’altra col flusso, che per gli ebrei era immonda, ma che lo toccò e fu guarita, e altre. Le donne attorno a Gesù furono altrettanto visibili degli uomini, il che lo mise in netto contrasto con la realtà del tempo. Perfino la sua nascita, con Dio che scelse una giovane ragazza non ancora sposata per concepire suo figlio, fu uno scandalo. Lo sarebbe ancora oggi, ma immaginate che reazione deve aver causato in quel periodo e in quella società. Ora è un fatto che prendiamo per scontato, perché queste storie di donne vicine a Gesù sono entrate a far parte della nostra cultura cristiana, ma a loro tempo erano estremamente imbarazzanti e contro corrente. Questa è un’ulteriore prova che i vangeli non furono inventati per creare un attraente mito cristiano, o si sarebbero certamente evitati questi aspetti imbarazzanti.
In ogni modo, anche Paolo andò contro corrente e affermò che in Cristo non c’è più differenza fra l'uomo e la donna: “Non c'è qui né Giudeo né Greco; non c'è né schiavo né libero; non c'è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù”. [3]. Anche lui parlò di donne che svolgevano un ruolo importante nella chiesa, che lo assistevano, che profetizzavano e che ospitavano chiese nelle loro case (la parola “chiesa” nelle epistole non faceva riferimento a un edificio, né a un’istituzione religiosa, ma a gruppi di credenti che si riunivano, di solito a casa di qualcuno).
Cionondimeno il retaggio culturale di Paolo era ben altro e ogni tanto riaffiorava. Per di più Paolo era l’unico celibe degli apostoli, come lui stesso ammise: “Non abbiamo il diritto di condurre con noi una moglie, sorella in fede, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Pietro? [4]. Le sue opinioni sul matrimonio e sulle donne erano tipicamente maschiliste e riflettevano sia una formazione rabbinica, sia una corrente gnostico-ellenista comune in quel periodo. Mi manca lo spazio per citare, una per una, le varie affermazioni che Paolo fece a riguardo, ma sono sicuro che non vi sfuggiranno. Sebbene appaino antiquate, vi chiedo di non permettere che vi causino dubbi sul magnifico lavoro di Paolo. Considerate semplicemente il periodo storico in cui Paolo visse, con le attitudini all’ora prevalenti sulla donna e la schiavitù, e vedrete che anche lui si stava dirigendo verso una loro liberazione. Non appare certo tale a confronto con la realtà odierna, ma sono sicuro che riuscirete a perdonare Paolo per essere stato semplicemente frutto del Suo tempo. Se studiate attentamente ciò che era prima di lui e ciò che venne dopo, vedrete che la mano di Dio usò proprio Paolo per liberare il cristianesimo dalle catene del passato e spingerlo nella direzione giusta.
Nota: La vita e opera di Paolo furono un passo importante nella realizzazione del piano divino per il cristianesimo, ma non furono sufficienti a condurlo alla sua meta finale, dove neppure noi siamo ora. Per questo è’ necessario renderci conto che dalla creazione al gran finale di Dio, si svolge una rivelazione progressiva, che comporta una maturazione e approfondimento graduale della relazione fra umanità e Dio. Questa, secondo Paolo e Giovanni, si concluderà solo col secondo avvento di Cristo e le cosiddette nozze dell’agnello, che studieremo poi separatamente. Ai suoi inizi questa rivelazione progressiva si era manifestata in vari incontri, patti e promesse che Dio fece ad Abramo e a Mosè. Paolo fece riferimento a questi, definendoli “ombra dei beni futuri” così che “quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio - poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito” [5]. Da questo comprendiamo che il rapporto tra l’uomo e Dio, sia individuale sia collettivo, è una realtà che muta nel tempo, un viaggio con un inizio e una meta finale.
La giustificazione per grazia e i peccatori
Paolo rifiutò ogni compromesso con l’antica legge e la respinse usando la stessa scrittura che l’aveva proclamata per dimostrarne il superamento. Dedicò gran parte di Romani, Galati, Efesini, Ebrei (che, anche se non scritto da lui, riflette il suo pensiero) a questo. Secondo Paolo non può esistere una salvezza metà per opere e metà per grazia, o l’uno o l’altro: “Ma se è per grazia, non è più per opere; altrimenti, la grazia non è più grazia” [6]. Il sacrificio di Cristo è sufficiente e offrire qualsiasi altro sacrificio è un affronto contro di Lui, un dichiararlo insufficiente. Paolo attaccò questa presunzione umana a ogni opportunità, ciononostante pochissimi cristiani comprendono appieno queste sue affermazioni. Sebbene Paolo vi dedicasse molti ragionamenti, l’influenza predominante dell’antica legge nel retaggio culturale di chi scrisse la Bibbia, così come la stessa natura umana, impedisce ai più di vedere la realtà della giustificazione per fede. Il nostro ego ci rende più inclini a una religione di opere (come Caino), anziché di grazia (come Abele), così Paolo rimane spesso un mistero.
Un altro fattore che può trarre in inganno, sono alcune incoerenze di Paolo stesso. Essendo un uomo di forza e di grande responsabilità verso le chiese da lui fondate, quando in queste apparvero delle devianze che ne minacciavano l’armonia e buona condotta, Paolo si animava di zelo intenso. Da questo scaturirono affermazioni di condanna contrarie al suo stesso insegnamento di giustificazione per grazia tramite la fede - e a quello di Gesù, che non aveva posto condizioni alla salvezza, se non la fede.
Ugualmente, mentre Gesù fu spesso accusato di preferire la compagnia dei peccatori, Paolo, invece, insegnò di evitarli. Mentre Gesù non proferì mai parole aspre nei confronti delle prostitute, adultere, corrotti e criminali, Paolo, nel suo zelo per la chiesa, affermò che a questi non era concesso entrare nel regno di Dio. Questo è un classico esempio di come applicare il Vangelo e l’immagine di Gesù come criterio per giudicare cos’altro si legge nella Bibbia. Ovviamente, quando c’è una differenza, il cristiano si atterrà all’esempio di Gesù.
Premesse finali su Paolo
Premetto che questa breve introduzione non è un sunto dei contenuti delle epistole di Paolo, che sono assai più ampi, e non può quindi sostituirne la lettura. L’intento di queste pagine è semplicemente quello di fornire quegli strumenti interpretativi più necessari per evitare il dubbio e la confusione che spesso assalgono il lettore delle epistole Paoline. Molti, infatti, si arrendono di fronte ai complicati ragionamenti o apparenti controsensi e desistono dal continuare nello studio, perdendo così un elemento vitale della loro formazione cristiana. Con queste semplici nozioni di base, ritengo che il lettore possa ora affrontare la lettura e lasciare che le epistole di Paolo parlino da sole.
Un’ultima premessa. Come già detto, Paolo è un dottore della legge antica e la cita ripetutamente per illustrare il suo ragionamento a un popolo che la viveva e conosceva profondamente. Non è necessario per noi conoscere tutti gli stessi dettagli per capire il messaggio centrale, ma eventualmente ci addentreremo nell’antico testamento e riusciremo a capire meglio certi suoi ragionamenti. Per il momento è più importante per noi rimanere radicati nel vangelo e, se leggere troppo Paolo stanca un po’ la mente, il che è probabile, allora suggerisco il ritorno ogni qualvolta al Vangelo al fine di non scordarne la priorità fondamentale.
Buona lettura.
1. Atti degli apostoli 21; 28
2. Seconda epistola di Pietro 3; 16
3. Epistola di Paolo ai Galati 3; 28
4. Prima epistola di Paolo ai Corinzi 9; 5
5. Ebrei 10; 1, epistola di Paolo ai Galati 4; 4 e prima epistola di Paolo ai Corinzi 13; 9 e 10
6. Epistola di Paolo ai Romani 11; 6
Dai vangeli ci siamo fatti un’immagine di Gesù, poi negli Atti degli Apostoli abbiamo visto sia l’entrare in scena dello Spirito Santo, sia il modo in cui i primi cristiani applicarono gli insegnamenti di Gesù. Infine abbiamo visto anche le difficoltà che i primi cristiani ebbero a staccarsi dal sistema religioso precedente, il che si manifestò in rottura fra Paolo, di cui ora studieremo gli scritti, e la chiesa di Gerusalemme. Le ragioni di questo scisma sono un tema ricorrente, a volte un po’ complesso e nient’affatto semplice, ma non scoraggiatevi, una volta acquisite alcune nozioni il tutto diventerà abbastanza semplice e coerente.
Nozioni interpretative
Paolo scrisse molto sulla legge, ma non nel modo in cui noi oggi intendiamo la parola. Come legge Paolo intendeva i comandamenti dati da Mosè, che non erano solo dieci, ma centinaia e regolavano fino ai minimi dettagli la vita degli ebrei. Questi erano la legge del popolo ebraico e nello studio precedente abbiamo tratto un parallelo con la Sharia, o legge islamica. Vi sono, infatti, vari punti d’incontro fra questi due sistemi e la Sharia di oggi ci offre una finestra nel tipo di realtà in cui il primo cristianesimo arrivò. Per capire meglio basta ricordare il caso dell’adultera che volevano lapidare e a cui Gesù salvò la vita. Non lo fece contraddicendo la legge, che gli avrebbe potuto costare la vita, ma con quella frase famosa “chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra”. Fu una risposta veramente divina, perché secondo la legge la donna doveva essere lapidata e Lui non avrebbe potuto opporsi alla legge senza gravi conseguenze. L’unica via di scampo per lui e quella povera donna, che sebbene avesse sbagliato non meritava di morire, fu di acconsentire all’esecuzione aggiungendo una condizione cui nessun accusatore poteva arrivare. In questo modo Gesù fece ben tre cose diverse, salvò la donna, se stesso, e smascherò l’ipocrisia di chi pretendeva di seguire la legge. Un altro esempio di com’erano applicati i comandamenti (la legge) è dimostrato dall’accusa finale di bestemmia, per cui Gesù fu condannato a morte. E’ da considerare che l’infrazione di quasi ognuno dei primi dieci comandamenti comportava la pena di morte, per non parlare poi di tutti gli altri.
I primi cristiani erano tutti ebrei, nati e cresciuti sotto tale legge e, come abbiamo visto, il cristianesimo rappresentava per loro solo una moderata riforma del vecchio sistema. Paolo si batté tenacemente per dimostrare invece che la vecchia legge era superata, e che il cristianesimo non ne aveva più bisogno. Usava spesso, non solo la legge, ma l’intero antico testamento (l’unica scrittura esistente allora) per dimostrare che Gesù ne era l’adempimento e la conclusione. Per Paolo Gesù aveva terminato l’antico testamento e aveva dato inizio al nuovo. L’antico, però, era ancora la legge universale dei credenti nel Dio d’Abramo, incluso i cristiani. Per di più era scritto da secoli, mentre il nuovo non era ancora né conosciuto né scritto. Paolo, come un avvocato di fronte al giudice, usava l’antica legge per presentare ripetutamente il suo caso per il Nuovo Patto e le sue epistole diventarono poi scrittura dello stesso.
Paolo usava l’antica scrittura anche per controbattere alla chiesa di Gerusalemme che pretendeva di giudaizzare (cioè sottoporre alla legge mosaica) i cristiani di origine pagana. L’esempio più classico si trova nell'epistola ai Galati, dove si legge che un gruppo di emissari mandati da Giacomo, vescovo di Gerusalemme, tentarono di giudaizzare i cristiani d'origine pagana convertiti da Paolo. Anche Pietro ne fu coinvolto, dapprima appoggiando Paolo, ma poi facendo un voltafaccia per timore degli emissari da Gerusalemme. Palo si sentì tradito dall'ipocrisia di Pietro e lo riprese apertamente.
La Bibbia non nasconde mai le debolezze dei suoi uomini e racconta francamente i loro sbagli. La ragione è di permetterci di intravedere la differenza fra l’opera di Dio e la fragilità delle persone che Lui usa. Pietro fu un abile strumento e le sue debolezze risaltano ancora di più la potenza di Dio tramite lui. Anche Paolo aveva delle debolezze ed è utile per noi individuarle affinché si possa riconoscere la differenza fra una sua opinione personale e un insegnamento inspirato da Dio. La ragione per cui le sue epistole entrarono a far parte del canone Biblico fu dovuta alla loro ispirazione divina, ma non mancano certi aspetti umani.
Perché Dio scelse Paolo
Come dai vangeli abbiamo appreso com’era Gesù, dalle epistole vedremo com’era Paolo, la sua formazione, il suo carattere, la sua forza, e anche le sue debolezze e incoerenze. Come i vangeli non celano le debolezze di Pietro e degli altri discepoli, così anche le epistole non celano quelle di Paolo. Allo stesso tempo sono anche la massima testimonianza delle ragioni per cui Dio scelse proprio lui. E perché lo scelse?
Paolo rappresentava ciò che nessuno degli altri apostoli era. Proveniva da Tarso, un influente centro di cultura Ellenica, e fu educato a Gerusalemme nella scuola rabbinica di Gamaliele. Paolo era un fariseo e parte di quella corrente ideologica che perseguitò e uccise, prima Gesù, e poi Stefano. Per loro Gesù era un falso profeta, una minaccia all’integrità della loro religione e cultura imperniate sulla legge Mosaica. Paolo era un legalista ed era pronto ad agire per estirpare la nuova eresia cristiana. Era l’immagine del crociato, dell’inquisitore, del protettore della vera fede e tradizione tramandata dai padri.
Se c’è una parola che descrive Paolo, è “zelo”. Non esistevano mezze misure per Lui, e quello per cui valeva la pena vivere, ne valeva la pena anche morire. Quest’intensità di sentimenti, che lo spinse prima a cacciare e perseguitare i cristiani, lo spinse poi a promulgare il cristianesimo.
A confronto, gli altri apostoli erano persone semplici e di poca cultura, a parte forse Matteo. Dio li usò grandemente ma ebbe bisogno di Paolo per sviluppare e scrivere la prima teologia cristiana e portare il cristianesimo oltre i confini del giudaismo. Dio, sapendo che l’ostacolo principale da superare sarebbe stato la vecchia religione, scelse proprio un rabbino proveniente dal giudaismo fondamentalista dei farisei, affinché una volta convertito potesse capire l’ampiezza e profondità del cambiamento avvenuto col sacrificio di Cristo. Paolo, infatti, dedicò gran parte delle sue epistole a spiegare questo, usando la legge Mosaica e l’Antico Patto come strumenti per dimostrarne il loro stesso superamento. Per questo fu più volte accusato di predicare contro la legge "questo è l'uomo che va predicando a tutti e dappertutto contro il popolo, contro la legge e contro questo luogo (tempio) " [1].
Non tutti lo capirono, neanche i suoi compagni e Pietro scrisse di lui “in tutte le sue lettere, in cui tratta di questi argomenti. In esse ci sono alcune cose difficili a capirsi” [2]. Dio però l’aveva scelto e lo sostenne fino a che le sue idee furono finalmente riconosciute. Per sopravvivere e adempiere la sua missione universale, il cristianesimo doveva diventare un’entità propria e staccarsi dal vecchio sistema giudaico. Dio usò Paolo per guidare il cristianesimo fuori dal nido della legge e condurlo alla maturità e libertà del Nuovo Patto.
Fu Gesù che realizzò il Nuovo Patto e lo firmò col proprio sangue, ma per i discepoli fu una scoperta graduale. All’inizio non lo capivano e la cultura giudaica in cui erano nati, era troppo forte affinché questi semplici pescatori potessero contestarla efficacemente. All'inizio del libro degli Atti, vediamo che sotto l’impeto dello Spirito Santo, fecero un primo grande balzo avanti. Poi, come in una guerra di trincea, si trovarono infossati a Gerusalemme, nel tempio, nella sinagoga, legati ai vecchi metodi così che non riuscivano ad andare oltre. Per rompere l’impasse Gesù aveva preparato Paolo, che poi portò fuori da Gerusalemme affinché potesse guidare il giovane movimento cristiano verso la sua espansione globale.
Aspetti umani di Paolo
Come già detto, vi erano dei controsensi anche in Paolo. La sua personalità, come con ogni uomo di Dio, non sempre rifletteva la personalità del maestro e le sue reazioni non sempre assomigliavano a quelle di Gesù. Queste mancanze, se pur minime a confronto con la bellezza dei suoi insegnamenti, vale la pena notarle per evitare brutte sbandate. Ma come possiamo sapere con certezza cos'è “parola di Dio” fra tante parole? E cosa può farci riconoscere un insegnamento contrario, o semplicemente inutile per noi oggi? Semplice … applichiamo il principio che abbiamo stabilito fin dall’inizio. Chiediamoci come si comporterebbe Gesù se fosse nella medesima situazione. Se c’è una netta differenza, allora sappiamo chi ha ragione. Gesù diventa quindi il criterio, e non il nostro giudizio soggettivo. Darò alcuni esempi:
Le donne
Se ci addentriamo nel contesto storico del tempo, scopriamo un mondo estremamente maschilista, dove alla donna non erano concessi ruoli al di fuori della casa e dei figli. I vangeli, invece, ci raccontano molte storie di donne. Vi erano donne che lo seguivano, che supplivano alle sue necessità, c’era la Maddalena che fu con lui fino alla fine, la prostituta che gli lavò i piedi con le lacrime, l’adultera che salvò dalla lapidazione, le sorelle Marta e Maria, la donna samaritana al pozzo, l’altra col flusso, che per gli ebrei era immonda, ma che lo toccò e fu guarita, e altre. Le donne attorno a Gesù furono altrettanto visibili degli uomini, il che lo mise in netto contrasto con la realtà del tempo. Perfino la sua nascita, con Dio che scelse una giovane ragazza non ancora sposata per concepire suo figlio, fu uno scandalo. Lo sarebbe ancora oggi, ma immaginate che reazione deve aver causato in quel periodo e in quella società. Ora è un fatto che prendiamo per scontato, perché queste storie di donne vicine a Gesù sono entrate a far parte della nostra cultura cristiana, ma a loro tempo erano estremamente imbarazzanti e contro corrente. Questa è un’ulteriore prova che i vangeli non furono inventati per creare un attraente mito cristiano, o si sarebbero certamente evitati questi aspetti imbarazzanti.
In ogni modo, anche Paolo andò contro corrente e affermò che in Cristo non c’è più differenza fra l'uomo e la donna: “Non c'è qui né Giudeo né Greco; non c'è né schiavo né libero; non c'è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù”. [3]. Anche lui parlò di donne che svolgevano un ruolo importante nella chiesa, che lo assistevano, che profetizzavano e che ospitavano chiese nelle loro case (la parola “chiesa” nelle epistole non faceva riferimento a un edificio, né a un’istituzione religiosa, ma a gruppi di credenti che si riunivano, di solito a casa di qualcuno).
Cionondimeno il retaggio culturale di Paolo era ben altro e ogni tanto riaffiorava. Per di più Paolo era l’unico celibe degli apostoli, come lui stesso ammise: “Non abbiamo il diritto di condurre con noi una moglie, sorella in fede, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Pietro? [4]. Le sue opinioni sul matrimonio e sulle donne erano tipicamente maschiliste e riflettevano sia una formazione rabbinica, sia una corrente gnostico-ellenista comune in quel periodo. Mi manca lo spazio per citare, una per una, le varie affermazioni che Paolo fece a riguardo, ma sono sicuro che non vi sfuggiranno. Sebbene appaino antiquate, vi chiedo di non permettere che vi causino dubbi sul magnifico lavoro di Paolo. Considerate semplicemente il periodo storico in cui Paolo visse, con le attitudini all’ora prevalenti sulla donna e la schiavitù, e vedrete che anche lui si stava dirigendo verso una loro liberazione. Non appare certo tale a confronto con la realtà odierna, ma sono sicuro che riuscirete a perdonare Paolo per essere stato semplicemente frutto del Suo tempo. Se studiate attentamente ciò che era prima di lui e ciò che venne dopo, vedrete che la mano di Dio usò proprio Paolo per liberare il cristianesimo dalle catene del passato e spingerlo nella direzione giusta.
Nota: La vita e opera di Paolo furono un passo importante nella realizzazione del piano divino per il cristianesimo, ma non furono sufficienti a condurlo alla sua meta finale, dove neppure noi siamo ora. Per questo è’ necessario renderci conto che dalla creazione al gran finale di Dio, si svolge una rivelazione progressiva, che comporta una maturazione e approfondimento graduale della relazione fra umanità e Dio. Questa, secondo Paolo e Giovanni, si concluderà solo col secondo avvento di Cristo e le cosiddette nozze dell’agnello, che studieremo poi separatamente. Ai suoi inizi questa rivelazione progressiva si era manifestata in vari incontri, patti e promesse che Dio fece ad Abramo e a Mosè. Paolo fece riferimento a questi, definendoli “ombra dei beni futuri” così che “quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio - poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito” [5]. Da questo comprendiamo che il rapporto tra l’uomo e Dio, sia individuale sia collettivo, è una realtà che muta nel tempo, un viaggio con un inizio e una meta finale.
La giustificazione per grazia e i peccatori
Paolo rifiutò ogni compromesso con l’antica legge e la respinse usando la stessa scrittura che l’aveva proclamata per dimostrarne il superamento. Dedicò gran parte di Romani, Galati, Efesini, Ebrei (che, anche se non scritto da lui, riflette il suo pensiero) a questo. Secondo Paolo non può esistere una salvezza metà per opere e metà per grazia, o l’uno o l’altro: “Ma se è per grazia, non è più per opere; altrimenti, la grazia non è più grazia” [6]. Il sacrificio di Cristo è sufficiente e offrire qualsiasi altro sacrificio è un affronto contro di Lui, un dichiararlo insufficiente. Paolo attaccò questa presunzione umana a ogni opportunità, ciononostante pochissimi cristiani comprendono appieno queste sue affermazioni. Sebbene Paolo vi dedicasse molti ragionamenti, l’influenza predominante dell’antica legge nel retaggio culturale di chi scrisse la Bibbia, così come la stessa natura umana, impedisce ai più di vedere la realtà della giustificazione per fede. Il nostro ego ci rende più inclini a una religione di opere (come Caino), anziché di grazia (come Abele), così Paolo rimane spesso un mistero.
Un altro fattore che può trarre in inganno, sono alcune incoerenze di Paolo stesso. Essendo un uomo di forza e di grande responsabilità verso le chiese da lui fondate, quando in queste apparvero delle devianze che ne minacciavano l’armonia e buona condotta, Paolo si animava di zelo intenso. Da questo scaturirono affermazioni di condanna contrarie al suo stesso insegnamento di giustificazione per grazia tramite la fede - e a quello di Gesù, che non aveva posto condizioni alla salvezza, se non la fede.
Ugualmente, mentre Gesù fu spesso accusato di preferire la compagnia dei peccatori, Paolo, invece, insegnò di evitarli. Mentre Gesù non proferì mai parole aspre nei confronti delle prostitute, adultere, corrotti e criminali, Paolo, nel suo zelo per la chiesa, affermò che a questi non era concesso entrare nel regno di Dio. Questo è un classico esempio di come applicare il Vangelo e l’immagine di Gesù come criterio per giudicare cos’altro si legge nella Bibbia. Ovviamente, quando c’è una differenza, il cristiano si atterrà all’esempio di Gesù.
Premesse finali su Paolo
Premetto che questa breve introduzione non è un sunto dei contenuti delle epistole di Paolo, che sono assai più ampi, e non può quindi sostituirne la lettura. L’intento di queste pagine è semplicemente quello di fornire quegli strumenti interpretativi più necessari per evitare il dubbio e la confusione che spesso assalgono il lettore delle epistole Paoline. Molti, infatti, si arrendono di fronte ai complicati ragionamenti o apparenti controsensi e desistono dal continuare nello studio, perdendo così un elemento vitale della loro formazione cristiana. Con queste semplici nozioni di base, ritengo che il lettore possa ora affrontare la lettura e lasciare che le epistole di Paolo parlino da sole.
Un’ultima premessa. Come già detto, Paolo è un dottore della legge antica e la cita ripetutamente per illustrare il suo ragionamento a un popolo che la viveva e conosceva profondamente. Non è necessario per noi conoscere tutti gli stessi dettagli per capire il messaggio centrale, ma eventualmente ci addentreremo nell’antico testamento e riusciremo a capire meglio certi suoi ragionamenti. Per il momento è più importante per noi rimanere radicati nel vangelo e, se leggere troppo Paolo stanca un po’ la mente, il che è probabile, allora suggerisco il ritorno ogni qualvolta al Vangelo al fine di non scordarne la priorità fondamentale.
Buona lettura.
1. Atti degli apostoli 21; 28
2. Seconda epistola di Pietro 3; 16
3. Epistola di Paolo ai Galati 3; 28
4. Prima epistola di Paolo ai Corinzi 9; 5
5. Ebrei 10; 1, epistola di Paolo ai Galati 4; 4 e prima epistola di Paolo ai Corinzi 13; 9 e 10
6. Epistola di Paolo ai Romani 11; 6
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